Jazz e cantastorie a New York
Due chitarristi e due mondi diversi in altrettante serate consecutive al Jazz Standard di Manhattan
Recensione
jazz
Il chitarrista texano Mike Moreno aveva un appuntamento importante: il lancio ufficiale del nuovo disco Lotus con una band di tutto rispetto: Aaron Parks al piano, Doug Weiss al contrabbasso e Eric Harland alla batteria. Uno dei brani più interessanti è proprio la title track: dopo una lungo intro di chitarra elettrica, l’anima del pezzo è una morbida conversazione in cui Moreno e Harland giocano con le dinamiche senza mai eccedere. Il batterista investe ogni gesto di tutta la sua forza, quasi come se ogni fibra dei suoi muscoli fosse intenta a trattenere il colpo sul piatto, anziché a lasciarlo andare. Moreno, oltre a essere una penna eccellente (temi come “The Last Stand” e “The Empress” sono una delizia per le orecchie), ha un modo di improvvisare che non indugia nei tecnicismi, sembra cercare la cantabilità in ogni frase. La serata regala parecchi momenti intensi e pieni di energia, peccato solo che il contrabbasso sembri restare un po’ in secondo piano rispetto al resto della band. Situazione inversa per Harland, che invece brilla alla pari del leader, mettendo in mostra tutta la sua straordinaria musicalità.
Cambio di piano sonoro nella serata successiva, quando i riflettori del locale di Manhattan hanno illuminato il progetto del cantautore Alan Hampton e la sua band ricca di ospiti: Meshell N’Degeocello al basso, Pete Rende al piano, Bill Campbell alla batteria, Gretchen Parlato alla voce. Armato ora di ukulele, ora di chitarra acustica, ora di contrabbasso, Hampton racconta le sue storie con sincerità e schiettezza, senza girarci intorno. Chiama spesso Gretchen Parlato – per la quale ha scritto diversi pezzi – a impreziosire i suoi brani, e alcuni momenti ricordano le vecchie incisioni di Paul Simon. È qui, nel songwriting americano, che sembra innestarsi la più chiara delle sue influenze. Se la voce femminile soffia una delicatissima brezza sull’intera performance, dalla seconda linea del palco il basso elettrico di Meshell N’Degeocello scivola liscio, dritto e pesante come una lastra di ghiaccio. E sono proprio queste due donne, profondamente diverse e per questo altrettanto essenziali, le punte di diamante della serata.
Cambio di piano sonoro nella serata successiva, quando i riflettori del locale di Manhattan hanno illuminato il progetto del cantautore Alan Hampton e la sua band ricca di ospiti: Meshell N’Degeocello al basso, Pete Rende al piano, Bill Campbell alla batteria, Gretchen Parlato alla voce. Armato ora di ukulele, ora di chitarra acustica, ora di contrabbasso, Hampton racconta le sue storie con sincerità e schiettezza, senza girarci intorno. Chiama spesso Gretchen Parlato – per la quale ha scritto diversi pezzi – a impreziosire i suoi brani, e alcuni momenti ricordano le vecchie incisioni di Paul Simon. È qui, nel songwriting americano, che sembra innestarsi la più chiara delle sue influenze. Se la voce femminile soffia una delicatissima brezza sull’intera performance, dalla seconda linea del palco il basso elettrico di Meshell N’Degeocello scivola liscio, dritto e pesante come una lastra di ghiaccio. E sono proprio queste due donne, profondamente diverse e per questo altrettanto essenziali, le punte di diamante della serata.
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