Il Trovatore visto dai giovani

Trovatore di tutti giovani per il Verdi Festival di Parma. Suggestiva scenografia lunare con proiezioni sul fondo, regia efficace di Micheli, molto buona la direzione musicale di Cortese, un direttore che coltiva il suo talento a Boston. In linea con le aspettative la nuova Orchestra del Centenario, il Coro, mentre la compagnia di canto, nonostante l'entusiasmo, ha dato una prova discontinua. Ma sono giovani, e quindi il pubblico ha premiato con calorosi applausi tutti gli artisti impegnati.

Recensione
classica
Fondazione Teatro Regio di Parma Parma
Giuseppe Verdi
12 Aprile 2001
"Ci sentiamo come se stessimo organizzando una festa in casa mentre i genitori sono fuori, coscienti però che questi possono tornare da un momento all'altro". Così il giovane regista Francesco Micheli alla vigilia del Trovatore parmigiano, nuovo allestimento del Verdi Festival, andato in scena ieri sera al teatro Regio di Parma, con un netto successo e, questa volta, neanche un dissenso. Le parole di Micheli rendono bene il clima che si respirava in quest'occasione, dove questo Trovatore dei giovani ha contagiato con l'entusiasmo e l'impegno degli interpreti il numeroso pubblico che gremiva il teatro. Diciamo subito che i genitori (il severo pubblico parmigiano, loggione in testa) sono tornati a casa ben preparati a ciò che si stava combinando nel proprio salotto buono, grazie alla dichiarazione di intenti che ha preceduto quest'opera. Ciò non toglie che questi siano riusciti a dimostrare di saper fare un buon lavoro, partendo dal dato spettacolare della regia di Micheli e delle scene di Edoardo Sanchi. L'ambientazione astratta gravitava attorno ad un cerchio inclinato che occupava l'intero palcoscenico, grande zolla lunare e arida, dal cui centro emergevano e venivano inghiottiti i protagonisti dell'opera, nonché i simboli del loro dramma, ricondotti alla torre, inclinata e stilizzata, alla natura, rievocata attraverso gli sparuti alberelli, ed al fuoco, che emergeva a fiotti come da una superficie vulcanica. Le luci che tinteggiavano questa superficie neutra e desolata, facevano da contrappunto con le suggestive videoproiezioni che riempivano lo spazio alle spalle dei protagonisti, ora con un cielo notturno in cui le nubi crescevano e sparivano con bell'effetto - e la luna vi abitava inquieta, cangiante nel colore e nella prospettiva - ora con un simbolico disvelamento delle paure, dei desideri intimi di Leonora, di Manrico, di Luna (carattere-sibolo di questa lettura), chiamati a dominare la scena e la vicenda attraverso i tre simboli, sempre più ingombranti. Pur con qualche lieve, e simpatica se vogliamo, ingenuità un'efficace ambientazione suggellata dai funzionali movimenti, anche nelle masse, gestiti con fresca asciuttezza dalla regia. Di grande presa ed efficacia la direzione musicale di Federico Cortese, il cui piglio denuncia l'ormai consolidata esperienza alla Boston Symphony Orchestra. La lucida scelta dei tempi, il vigore e il trasporto mai straripante con cui ha guidato la novella Orchestra del Centenario ha subito conquistato, mediando la forte emotività della partitura con una lettura che, a tratti, lasciava trasparire delicate tessiture orchestrali, il tutto in modo decisamente equilibrato. Inutile fare le pulci ad una compagine orchestrale che, al suo debutto operistico, ha dato buona prova di se, restituendo un impasto sonoro pieno ed efficace. A tinte decisamente forti il coro, guidato da Faggiani, mentre la compagnia di canto, schierata per questa prima rappresentazione ha sicuramente rivelato tanto entusiasmo, nonostante qualche inevitabile e veniale sbavatura ci sia stata. Comunque, Katia Pellegrino è stata una Leonora introspettiva la cui efficacia emotiva ha raggiunto il culmine in "D'amor sull'ali rosee", recitata in proscenio immersa in un buio cielo stellato, Vittorio Vitelli un Conte di Luna in linea col personaggio ed apprezzato dal pubblico, Renzo Zulian un Manrico sostanzialmente efficace che, soprattutto, ha ben preparato "Di quella pira" (col do acuto), mentre l'Azucena di Tea Demurishvili, oltre che per un buon controllo vocale, è emersa per una dignità drammatica rara nella sua discreta eleganza. Tra gli altri va citato l'intenso Ferrando di Enrico Iori. Tanti e calorosi gli applausi, sia a scena aperta, sia alla fine per questi giovani che, con la loro freschezza, hanno conquistato il severo pubblico di Parma.

Note: nuovo all.

Interpreti: Vitelli/Kang, Pellegrino/Izzo/Ignatovich, Demurishvili/Sokolova, Zulian/Leonardi/Giuliacci, Iori/Bannik, Tomao, Anile, Busoni, Carli.

Regia: Micheli

Scene: Edoardo Sanchi

Costumi: Cicorella

Orchestra: Orchestra del Centenario

Direttore: Federico Cortese

Coro: Coro del Festival Verdi

Maestro Coro: Martino Faggiani

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

I poco noti mottetti e i semisconosciuti versetti diretti da Flavio Colusso a Sant’Apollinare, dove Carissimi fu maestro di cappella per quasi mezzo secolo

classica

Arte concert propone l’opera Melancholia di Mikael Karlsson tratta dal film omonimo di Lars von Trier presentata con successo a Stoccolma nello scorso autunno

classica

Piace l’allestimento di McVicar, ottimo il mezzosoprano Lea Desandre