Il ritorno della dama di Boieldieu all’Opéra Comique

A Parigi un riuscito allestimento de La dame blanche, storico successo della sala parigina 

La dame blanche [la dama bianca] (Foto Christophe Raynaud de Lage)
La dame blanche [la dama bianca] (Foto Christophe Raynaud de Lage)
Recensione
classica
Parigi, Opéra Comique
La dame blanche [la dama bianca]
20 Febbraio 2020 - 01 Marzo 2020

Fu un successo epocale per l’Opéra Comique con oltre mille repliche dopo la prima assoluta il 10 dicembre 1825 ed ebbe un’influenza su numerosi lavori e compositori nei decenni a venire. La ricetta? Un soggetto preso a prestito da Walter Scott, autore molto popolare nel mondo del melodramma, come testimoniano anche i successi napoletani de La donna del lago del 1817 e più tardi quello di Lucia di Lammermoor del 1837, e l’ambientazione scozzese, fonte altrettanto fertile di ispirazione melodrammatica in quello scorcio di secolo. E naturalmente aiutò molto la storia di fantasmi, anche se nel libretto scritto da Eugène Scribe per La dame blanche il fantasma è falso e serve solo a impedire l’acquisto di un castello a un “nouveau riche” per restituirlo agli eredi legittimi, un riflesso dell’impegno dello Stato francese post-napoleonico ad indennizzare gli aristocratici espropriati dei propri beni dalla Rivoluzione. 

La dama bianca del titolo, dunque, è il classico fantasma che popola le stanze abbandonate da lungo tempo del castello di Avenel, che classicamente domina un villaggio scozzese. In effetti si tratta di Anna, trovatella allevata dagli Avenel, ben decisa a opporsi alle mire del tutore Gaveston sulla proprietà del castello in mancanza di notizie di Julien, ultimo rappresentante degli Avenel partito in guerra molti anni prima. A scompaginare i piani arriva il giovane ufficiale George Brown che si innamora all’instante di Anna, ricambiato, e soprattutto viene istruito dalla “dama bianca” su come rilanciare a qualsiasi prezzo sull’offerta di Gaveston nell’asta per la vendita del castello. L’offerta raggiunge somme stratosferiche ma c’è pronto il tesoro nascosto degli Avenel e soprattutto la tipica agnizione che rivela a tutti, ufficiale compreso, che George Brown è in effetti Julien d’Avenel. 

Trama esile e incongruente ma funzionale a uno spettacolone pieno di colpi di scena, che, all’epoca della prima, dovettero fare colpo ma soprattutto offrirono al compositore François-Adrien Boieldieu, per la sua opéra comique numero 26, un meccanismo irresistibile per inanellare arie di bravura, pezzi di colore, cori e quant’altro in uno stile che, parlati a parte, deve moltissimo a Rossini nella costruzione dei numeri musicali e nel trattamento delle voci e anticipa le esagerate torture vocali a venire di Meyerbeer. Fedele alla sua storia, l’Opéra Comique ripropone questo titolo a poco meno di 25 anni dal fortunato recupero parigino ad opera del direttore Mark Minkowski con un cast di specialisti rossiniani dell’epoca. Se nel complesso la scelta delle voci ascoltate sulla scena dell’Opéra Comique funziona, mancano tuttavia quei fuoriclasse che la complessità della scrittura vocale di Boieldieu richiederebbero. È il caso del Georges Brown, ruolo davvero impegnativo, di Philippe Talbot, che ha una voce generosa e un timbro luminoso ma manca spesso di precisione nel registro acuto per tacere di un certo abuso nel falsettone. Molto meglio fa Elsa Benoit nel ruolo di Anna, risolta con l’eleganza e l’autorevolezza di una primadonna del belcanto. Molto riuscita anche la prova come Gaveston di Jérôme Boutillier, ottimo attore e vocalmente incisivo nel ritratto del cattivo di turno. Yann Beuron ha perso molto dello smalto vocale di un tempo ma il suo Dickson con la Jenny di Sophie Marin-Degorforma un’accattivante coppia comica. Completano il cast la cavernosa Marguerite di Aude Extrémo e il baldanzoso banditore Mac-Irton di Yoann Dubruque. Fondamentale l’apporto del coro Les élements preparato da Joël Suhubiette. Alla testa dell’Orchestre National d’Île-de-France, che ingrana sulla distanza dopo qualche inciampo iniziale, Julien Leroy assicura la direzione musicale con efficienza e una compostezza molto francese. 

Quanto al riuscito allestimento, la regista Pauline Bureau privilegia modi all’antica mitigati tuttavia da un certo ironico distacco e una certa vitalità nella direzione attoriale, specie nei lungi dialoghi. Come nei costumi di Alice Touvet, anche nelle scelte scenografiche di Emmanuelle Roy prevale un gusto ottocentesco tecnologicamente aggiornato con le accattivanti videoproiezioni di Nathalie Cabrol

Pubblico numeroso, applausi calorosi. 

 

 

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