Il Respighi goliarda

Il Re Enzo di Respighi al Festival Pergolesi Spontini

Recensione
classica
Continua il percorso musicale intorno all’albero genealogico di Federico II di Svevia, l’imperatore nato a Jesi cui quest’anno rende omaggio il Festival Pergolesi Spontini. Venerdì 16 settembre la lente di ingrandimento si è fermata su Enzo di Hohenstaufen, figlio di Federico, catturato e fatto prigioniero a vita dai bolognesi nel 1249, dopo la battaglia di Fossalta.

Alla storia di Re Enzo, alla leggenda della sua avvenenza e del fascino che sembra esercitasse sulle donne bolognesi è dedicata la prima e ingiustamente dimenticata opera di Ottorino Respighi, messa in scena al Teatro Moriconi di Jesi nella versione per ensemble da camera di Franca Bettoli/Stefano Carloni/Giuseppe Pitarresi/Matteo Salvo, allievi del Laboratorio di composizione del Conservatorio “B. Maderna” di Cesena.

Rappresentata con successo (seguirono alcune repliche) il 12 marzo 1905 al Teatro del Corso di Bologna con la direzione di Pietro Cimini, Re Enzo fu interpretato da artisti in carriera e da studenti universitari, che annualmente erano soliti allestire spettacoli a scopo di beneficenza per la Casa dello studentato; studente di giurisprudenza e amico del bolognese Respighi era lo stesso librettista, Alberto Donini, che si ispirò per le vicende narrate alla Secchia rapita di Tassoni. Più che opera comica Re Enzo è un’operetta, perché i vari “numeri” che compongono i tre atti sono raccordati da dialoghi parlati o da melologhi, e lo stesso libretto a stampa non presenta la scrittura per esteso dei dialoghi recitati ma soltanto delle didascalie riassuntive. Tali parti recitate si prestano quindi a possibili attualizzazioni, non essendo legate ad un testo fisso, proprio come è avvenuto a Jesi: i bravi attori della bolognese compagnia “I Guitti Senzarteneparte” hanno movimentato la messinscena con una comicità a volte piccante ma sempre garbata, condita dal simpatico accento emiliano.

Inconsuete sono in alcuni casi le scelte di Donini, soprattutto nella metrica: il melologo della poetessa Isabella nel primo atto, ad esempio, si presenta come il susseguirsi di due sonetti, e la romanza di Enzo del secondo atto è articolata in quartine di endecasillabi. Echi della riscoperta primo novecentesca della musica popolare italiana si avvertono negli stornelli di Lauretta ed Isabella; mentre la canzonetta di Re Enzo del terzo atto presenta ampie citazioni da un componimento poetico che in alcuni codici medievali è attribuito allo stesso sovrano. L’esile trama ripropone, come dice il regista Matteo Mazzoni, «questa antica storia medievale, innovandola e permeandola con la vivacità della Belle époque della Bologna dei primi del Novecento, con la spensieratezza e l’irriverenza tipica degli studenti goliardi, protagonisti della prima rappresentazione, trasformando l’intera vicenda in un ludus teatrale di giovanili giochi d’amore».

Nell’opera tutte le donne di Bologna sono affascinate dalla bellezza del re prigioniero e spasimano per lui, con conseguente preoccupazione degli uomini della città. L’ anziana poetessa Isabella e la giovane lavandaia Lauretta, moglie di Cocuberna, travestite da paggi si introducono nel Palazzo del Podestà dove è rinchiuso re Enzo e ne tramano la fuga. Enzo però è catturato nuovamente e ricondotto dal Podestà: continuerà ad essere oggetto di desiderio per tutte le donne della città.

La messinscena, a cura di Matteo Mazzoni per la regia e i costumi, Elisabetta Salvatori per le scene e Fabrizio Gobbi per le luci, ha utilizzato in maniera funzionale tutti gli spazi del Teatro Moriconi: molte scene si svolgevano lungo la passerella al centro della platea, altre negli spazi superiori, altre sul vero e proprio palcoscenico, creando così dinamicità e movimento pur nello spazio raccolto del teatro.

La musica ha rivelato un Respighi già maturo alla sua prima prova con il teatro: il declamato vocale mai monotono, ma sempre espressivo e melodicamente tornito, ha assunto nelle varie situazioni drammatiche accenti ora patetici, ora appassionati, ora squisitamente comici. Dalla riduzione per ensemble strumentale è comunque emerso il suo tipico gusto per la ricchezza trimbrica e coloristica, più noto nella musica sinfonica, così come i frequenti richiami alla modalità medievale e alle movenze ritmiche e melodiche della musica antica. Il finale del secondo atto poi è una chiara citazione rossiniana, con i personaggi in stato confusionale a sillabare parole spezzettate in una pagina di contrappunto travolgente.

Gli interpreti, tutti solisti dell’Accademia d’Arte Lirica di Osimo, hanno sfoggiato doti di cantanti in carriera, con belle voci e sicura presenza scenica; gli strumentisti e il coro, attinti anch’essi dalle maestranze locali, sono stati diretti in maniera accurata da Alessandro Benigni.  

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