Il "primo" Puccini a Torre del Lago
Insolito abbinamento Le Willis con Edgar (tagliato)
Non si poteva perdere l'occasione di presenziare al rarissimo Edgar, e non la si è persa. Sono peraltro parecchi i motivi di perplessità sull’operazione così come l’ha concepita Pier Luigi Pizzi, attuale direttore artistico del festival nonché regista, scenografo e costumista di questo spettacolo. Certamente, se c’è un’opera che ci permette di capire da quali scorie estetiche e culturali Puccini si è dovuto liberare per mettere a fuoco il suo originale talento, questa è l’Edgar, e anche questo è interessante, e forse basterebbe a giustificare il fatto di ritirarlo fuori nell’occasione del centenario.
Qui, ciò che abbiamo, nel libretto di Ferdinando Fontana, è un decadentismo superomistico in versione ampiamente degradata, e confusa su uno sfondo pseudostorico-corale un po’ da Grand-Opéra (magari mediato attraverso Ponchielli, insegnante di composizione di Puccini al Conservatorio di Milano). Edgar è il solito giovane maschio aristocratico affamato di rare emozioni e perversioni, che non trova nel fiammingo villaggio natio. Si capisce subito che non è materia da Puccini, il Puccini che verrà, ma che evidentemente, al tempo dell’Edgar, non aveva ancora messo a fuoco cosa gli sarebbe venuto bene e cosa no, o forse non aveva ancora il potere contrattuale per farlo.
Il focus è decisamente sul protagonista maschile, a cui spettano certe situazioni in effetti interessanti, come il finto funerale di Edgar che invece è vivo e si cela nei panni di un frate, accusatore delle colpe del morto che morto non è. E’ l’unica opera di Puccini in cui il protagonista maschile dà il titolo, a parte il tardo e comico Gianni Schicchi, che oramai si muove in tutt’altra aura, novecentesca al 100%. E infatti l’eroina femminile Fidelia, destinata al sacrificio, è tenera e patetica ma in sostanza alquanto scialba, mentre alla sua antagonista, la perversa dark lady Tigrana, benché fortemente stereotipata, spetta l’unica pagina che ci è sembrata davvero di qualche interesse, la sua perfida canzonaccia che si fa beffa della religiosità paesana come delle aspirazioni migliori di Edgar (“Tu il cuor mi strazii… Io muoio! / Che feci a te, crudel?» / Belava all’avvoltoio / Nell’agonia l’agnel…Agnelin fai pietà, Fai pietà. Ah! Ah! Ah!”).
La successiva totale estraneità di Puccini alle tematiche del Decadentismo sarà poi attestata pienamente dal fallimento dei progetti di collaborazione con D’Annunzio; quanto a Tigrana, la scarsa simpatia di Puccini per ledark ladies e loro perversioni sarà poi confermata dalla rinuncia all’affascinante soggetto di La femme et le pantin di Pierre Louÿs, che aveva brevemente attirato la sua attenzione per poi fargli decidere che non era nelle sue corde (il soggetto sarà ripreso da Zandonai in Conchita, ma trattato finalmente in modo degno solo nel film Quell’oscuro oggetto del desiderio di Buñuel). Per dirla con l’eminente studioso pucciniano Michele Girardi (Giacomo Puccini. L’arte internazionale di un musicista italiano), Edgar è “...l’unico fallimento della sua carriera. Senza un dramma congeniale non c’è talento musicale che tenga. In questo senso la lezione fu utilissima a Puccini, poiché gli fece comprendere la necessità di scegliere in prima persona il soggetto e di definire in anticipo le strutture drammatiche del libretto, prima di metterlo in musica. D’ora in poi egli non avrebbe più commesso simili errori.”
Come ripetiamo, ne sarebbe valsa la pena proprio per capire da cosa, da quali influssi estetici,, musicali e drammaturgici in corso nella sua giovinezza, Puccini si dovette liberare per trovare se stesso, ed è comunque divertente per il melomane riconoscere spunti di idee che poi ritorneranno in altre opere, ad esempio in Tosca. Ed era giusto, con tali intenti, riproporre la prima versione lunga in quattro atti, nata e fallita alla Scala nel 1889. Purtroppo c’è stata l’idea dell’abbinamento in dittico con la prima opera di Puccini, Le Villi (però in ordine inverso, con l’Edgar prima), anche questa nella prima versione Le Willis del 1884, più breve e concepita come una piccola opera-ballo su un soggetto di attardata matrice romantica e fantastica, senza importanti pagine solistiche (manca infatti, per esempio, l’aria di Anna, Se come voi piccina, aggiunta in una versione successiva). Rispetto al velleitarismo dell’Edgar, Le Willis spicca come un gioiellino in cui il tema fantastico è svolto bene grazie a quel talento sinfonico che si evidenzia qui in numeri come la famosa Tregenda, e che poi Puccini svilupperà da par suo.
Ma questo abbinamento ha comportato tagli pesanti sulla partitura dell’Edgar, e risultava peraltro chiaro all’ascolto che la preparazione dell’Edgar era stata troppo affrettata, al punto di dare la netta impressione di una scarsità di prove per l’orchestra e il coro, che forse non hanno avuto il tempo necessario per assimilare una partitura sconosciuta di Puccini, e Puccini è difficile. Per cui non ci sentiamo di esprimere nessun giudizio sulla prestazione di orchestra, coro e direttore (Massimo Zanetti), che invece se la sono sbrigata bene nelle Willis, forse provate meglio e sicuramente meglio conosciute all’orchestra, trattandosi di un lavoro che negli ultimi anni ha avuto già diverse riprese. Dunque ci chiediamo piuttosto se era il caso di ritirare fuori l’Edgar senza poi impegnarsi a farlo bene.
A questi elementi negativi si contrapponeva però l’eleganza delle scene – scene virtuali soprattutto - e costumi di Pizzi, imperniati in tutti e due casi su suggestive immagini di alberi in fiore, e nell’Edgar sullo sfondo di aggraziate linee di case fiamminghe e con costumi ispirati al beghinaggio, mentre il depravato secondo atto delle “orge e chimere” si è avvalso del consueto apparato di maschere veneziane, manti rossi e oro e nudità. Ha meritato applausi anche il doppio cast, in particolare la convincente Lidia Fridman di ottimo conio vocale di lirico puro, Fidelia e Anna, ma anche gli altri, che ci sono sembrati tutti confacenti alle rispettive parti, Vassilii Solodkyy (Edgar), Vittorio Prato (Frank), Ketevan Kemoklidze (Tigrana), Luca Dall’Amico (Gualtiero), e nelle Willis Giuseppe De Luca (Guglielmo) e Vincenzo Costanzo, Roberto vocalmente prestante ma anche attento alle sfumature. Nelle Willis erano da apprezzare anche le coreografie pulite e classicissime di Gheorghe Iancu, nel loro doppio registro, idilliaco per le fanciulle di paese, indemoniato nella tragica tregenda delle morte per amore.
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