Il pastore

diario del 26 luglio

Recensione
jazz
Nel lungo viaggio da Alghero a Muravera di qualche giorno fa abbiamo incontrato greggi di pecore e capre, mandrie di vacche, qualche cavallo e un paio di gruppi di maiali pezzati di marrone come fossero cinghiali. Mancavano solo gli animali da cortile che di certo c’erano ma che non erano visibili ai nostri occhi se non fermandoci a zoommarli con uno sguardo attento. In compenso abbiamo visto un’aquila, qualche astore e una infinità di cani e di gatti in taluni casi, purtroppo, morti sull’asfalto. A parte i cadaveri dei poveri ultimi il rapporto tra mezzo meccanico e mondo animale in Sardegna sembra essere di convivenza. Ognuno si guadagna il proprio spazio e solo in alcuni casi accadono le guerre puniche degli scontri sulla strada che in genere sono notturni. Può succedere che in una statale poco frequentata i cinghiali vi si fermino a banchettare e che passi un ignaro conducente di auto e succede che sulla Carlo Felice, stavolta ben più grave, ci si trovi d’improvviso davanti a un gregge che attraversa la quattro corsie chiedendosi il perché di un guardrail che non risponde alla logica del muretto a secco. Il pastore fonnese dovrebbe in questo caso munirsi di catarifrangente e paletta ma non gli è stato insegnato e forse bisognerebbe piuttosto istruire il pastore verso l’etica stradale sarda che è diversa da quella continentale. In Australia ci sono le macchine con il “paracanguro” e i cartelli che segnalano il pericolo con l’icona dell’animale saltellante. Perché non mettere nelle macchine sarde il “parapecora” e fare cartelli triangolari gialli come le stoppie con il gregge e il suo cane pastore? Priamo ha la faccia bruciata dal sole e le mani da mungitore che parlano da sole. Perché in campagna si parla con le mani prima che con le parole che sono fatte di suoni indistinti. I suoni per i suoni, quelli delle pecore, delle capre e delle vacche e le parole per gli uomini quando le mani parlano per tutti e devono essere grandi. Grandi per afferrare il capezzolo dell’animale e grandi per faticare e per comunicare. Il concerto in duo con Paola Turci si è concluso e abbiamo finito di cenare nell’agriturismo “S’Armidda” di Tore Bussu e Tonina Frau che non è lontano dal sito della Chiesa di San Basilio dove abbiamo tenuto il concerto, sotto “Sa Rocca Manna”, un immenso masso di granito perso nel bosco di lecci che domina la valle sotto le nuvole basse che minacciano pioggia. Non fosse per un’antenna telefonica posta poco sopra una collina potresti essere nel Paradiso incolto del mondo perché se ti guardi intorno vedi solo pietre e natura selvaggia e nonostante siamo nella Barbagia di Ollolai potresti essere in Gallura. Una Gallura meno aspra dove l’armonia sono gli accordi alterati che rubano il posto alle triadi. Oggi il concerto è alle 19.30 e i fans di Paola stanno già arrivando. Scendono lentamente a piedi o con la navetta predisposta dal Comune che fa la spola dal paese. La navetta li lascia davanti alla chiesetta dove noi stiamo provando il repertorio e intanto si espande l’odore della “purpudza” che arrostisce nella “barracca” della Pro Loco e che fortunatamente è lontana dallo spiazzo del concerto. L’ultima esibizione con Paola risale al “Concertone” del Primo Maggio in Piazza San Giovanni a Roma di due anni fa. Ci ritrovammo sullo stesso palco dopo Vasco Rossi a cantare e suonare “Hallelujah” con la lettura di Claudia Gerini e Sergio Castellito e “Hallelujah” è il primo brano a cui pensiamo. In Eb, segno sul Mac posto sul banco della chiesetta con il santo che osserva. Decidiamo di iniziare il concerto con “Preghiera di Gennaio” in omaggio a Fabrizio De Andrè che in quelle Barbagie fu ospite forzato. Poi “Cuccuruccucu Paloma” che Paola canta da Dio, un paio di brani originali suoi, un omaggio a Amy Winehouse e “Dio come ti amo” di Modugno per chiudere il set e che io ho registrato per il suo penultimo disco. Poi “Questione di sguardi” come bis con la gente che canta come fosse in una arena rock. Gliela ha chiesta il nostro Luca Devito e Paola è contenta di farla. In viaggio per Ollolai scopriamo che il cartello giallo a forma di freccia con scritto “di qua” che sta ad Oristano Nord ha una storia lunga qualche centinaia di chilometri. In realtà la misteriosa indicazione enigmatica non è una, ma una serie che porta perlomeno in Barbagia. Uno con scritto “di là” lo si trova già dopo il ponte di Oristano e poi, seguendo il “di qua” a noi conosciuto se ne ritrova un terzo ad Abbasanta in direzione Nuoro e poi un altro ancora al bivio di Ghilarza. Gli ultimi due riportano la scritta “di là” come se dovessero concedere una possibilità plurima e solo quello di Oristano Nord dice perentoriamente “di qua”. Il tutto è dunque ben più misterioso di ciò che ho riportato nel diario del 21 luglio. Alle tre del mattino ci troviamo nel Bar del paese. Franco Podda porta formaggio e vino da Gavoi che è “di là” a pochi chilometri. Priamo, il pastore con il viso bruciato dal sole e con le mani grandi fa parte del movimento dei pastori e va a casa a prendere il formaggio suo che l’altro è di Gavoi e non va bene. Mi chiede come potrei declinare in musica i problemi della pastorizia sarda. Rispondo che non ne ho idea e che più che i suoni contano le parole e i fatti. Perché altrimenti la partita la si gioca di là dal mare e di qua rimangono solo terre incolte. Parliamo a lungo. Con le mani e con le parole. Parliamo di terra e di fuoco, di pecore e del prezzo del latte. Parliamo della politica sarda, del Pecorino e del Fiore Sardo come che il formaggio sia l’anima di questa società e ne definisca i ruoli e i rapporti. Priamo parla bene perché è colto come molti pastori. Chissà quante quartine conosce a memoria e chissà quanti libri ha letto. La mattina dopo i giornali sardi riportano la notizia che un gruppo di 2000 pastori che protestavano a Cagliari davanti al Palazzo della Regione sono stati picchiati dalle Forze dell’Ordine. Chissà se ne hanno parlato anche al di là del mare. Sui giornali e a tavola, tra un bicchiere di vino rosso scuro e un tocco di pecorino stagionato. Che senso ha quell’antenna telefonica che taglia la vista a San Basilio se questa non comunica al mondo le battaglie del Fiore Sardo?

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