Il coro e il cuore

Al FolkClub di Torino la polifonia di Lo Còr de la Plana

Recensione
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Folk Club Torino
11 Gennaio 2013
A Marsiglia ci sono più di duecento quartieri, ognuno con i suoi nomi e soprannomi, e con una sua anima - o un cuore: li ritroviamo tutti in una lunga farandola di Lo Còr de la Plana, intitolata appunto “Farandola dei barìs”, dei “quartieri”. La loro somma è forse superiore a Marsiglia stessa: uno di questi quartieri, una zona di passaggio fra il nord e il sud della città, fra i quartieri poveri e ricchi - e quindi anche fra Francia e immigrati - è La Plaine, La Plana in provenzale. Il suo “cuore” - che è anche il suo “coro” - da una decina d'anni gira il mondo a cantare dei quartieri di Marsiglia, della sua Comune rivoluzionaria, dei politici di ieri e oggi. Lo Còr de la Plana, “inventato” da Manu Theron quando la polifonia occitana non era fra i gusti della volubile industria della world music, è oggi la formazione di riferimento per il genere, e vanta - anche grazie al lavoro di promozione culturale avviato - qualche tentativo di imitazione. La musica del quintetto mantiene la propria origine popolare, anche in una forte sensazione di gioia - quasi conviviale - nel proporre i canti, che emerge fin dal soundcheck. Ovvio, dunque, che il coro si trovi a suo agio al FolkClub di Torino, dove la prima linea di spettatori appoggia i piedi sul palco. A dispetto di questa spontaneità, la musica del gruppo è tutto fuorché improvvisata; prende i modelli - armonici e ritmici - della cultura musicale da cui muove per complicarli e arricchirli. La tentazione sarebbe di attribuire il merito di tanta ricchezza di culture e influenze a Marsiglia stessa, gran calderone di idee e persone, ma sembrerebbe fare torto a Theron e soci, e al loro lavoro di sintesi e di pura invenzione musicale e linguistica. Chi li ha scoperti su disco (l'ultimo [i]Marcha![/i] è imperdibile), dal vivo ritrova più tiro, più percussioni (grancassa, bendir, tamburello...), più velocità, oltre alle umane sporcature di intonazione. Solo così, però, con i piedi sul palco, si capisce il lavoro del gruppo, si colgono giochi armonici, incastri ritmici e dinamiche delle voci che - prima di essere musicali - sono [i]umane[/i], tout court.

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