Il concept Fire! Orchestra trionfa a PadovaJazz

La versione CBA (Community Based Activity) della Fire! Orchestra di Mats Gustafsson è un progetto che funziona

Padova Jazz Fire! Orchestra
Foto di Nina Marranconi
Recensione
jazz
Teatro Verdi, Padova, Padova Jazz
Fire! Orchestra CBA
20 Novembre 2021

Con il pubblico del Teatro Verdi in visibilio a applaudire ripetutamente la Fire! Orchestra CBA, la serata finale del Padova Jazz Festival 2021 consegna alle riflessioni materiale per più di un articolo.

– Leggi anche: Arrival, la nuova Fire! Orchestra

E se partiamo dal dato, ben più che cronachistico come vedremo, dello straordinario successo della serata, non lo facciamo certo solo per la gioia (meritata) degli organizzatori - quest'anno la direttrice artistica Gabriella Piccolo Casiraghi ha voluto far crescere la collaborazione con il Centro d'Arte, ottima intuizione! - ma perchè è un dato che si apre a molte interessanti riflessioni.

Procediamo con ordine: è la serata finale del Festival e con coraggio si decide di mettere il prestigio e la capienza del Teatro Verdi a disposizione di un progetto originale, pensato, costruito con intelligenza, linguisticamente lontano dalle proposte più piacione e acchiappa-pubblico che spesso offrono soluzioni facili a chi non rischia per pigrizia.

Ecco allora, in coproduzione con un altro “spazio” (non solo fisico, ma anche di pensiero) come Area Sismica a Ravaldino (Fo) – dove il concerto ha trovato una replica il pomeriggio della domenica – arrivare una versione CBA (Community Based Activity) della Fire! Orchestra del sassofonista svedese Mats Gustafsson (di una delle più recenti versioni ne avevamo scritto qui). 

Oltre al nucleo base formato da Gustaffson e dal sempre strepitoso Johan Berthling al basso (alla batteria Mads Forsby ha sostituito l’indisponibile Andreas Werliin) e a una piccola truppa di “veterane/i” dell’Orchestra come le sassofoniste Anna Högberg e Mette Rasmussen, la trombettista Susana Santos Silva e il trombonista Mats Äleklint, la Fire! ha incluso infatti qui una serie di musicisti italiani di ambito sia jazz/impro che più propriamente avant/rock o elettronico, dal trombettista Gabriele Mitelli alla clarinettista Zoe Pia, passando per la multistrumentista Valeria Sturba, gli esperti Fabrizio Puglisi e Elio Martusciello a tastiere e elettronica, Stefano Pilia e Sara Ardizzoni alle chitarre e Jacopo Battaglia degli Zu alla seconda batteria.

Padova Jazz Fire Orchestra
Foto di Nina Marranconi

Evoluta in un “concept” da sviluppare direttamente sul territorio, in stretta collaborazione con associazioni e musicisti locali, allo scopo di creare nuove reti, di disseminare pratiche e di raggiungere pubblici diversi (idea che va anche incontro a una maggiore sostenibilità ambientale e logistica, date le dimensioni dell'organico), la Fire! si è quindi aperta, dopo qualche giorno di prove, a nuove dinamiche. 

Sulla solida base della formula che ha reso progressivamente sempre più popolare l'Orchestra verso pubblici di diversa provenienza, con groove solenni che dalla quiete crescono fino a esplodere in riff incendiari e momenti di dionisiaca libertà solista, Gustafsson ha lasciato ampio spazio ai musicisti italiani, in modo particolare a una sempre più fenomenale Valeria Sturba (che ha declinato la sua potente performatività tra theremin, voce e varie “diavolerie”, tra cui un esilarante duetto tra polli di gomma) e a Zoe Pia, quasi un contraltare mediterraneo alla “nordicità” delle colleghe di sezione, impegnata sia al clarinetto che alle launeddas.

Ma tutta l’Orchestra ha funzionato a meraviglia, tra squarci solitari (spettacolare quello di una ispiratissima Mette Rasmussen) e lunghi collettivi, derive elettroniche e impasti di fiati old-school, trascinando un pubblico vario per età e composizione in un vortice di entusiasmo anche fisico che le poltroncine del teatro hanno a tratti faticato a contenere.

Una prima riflessione, dunque, di carattere squisitamente artistico, conferma la validità della formula Fire! a formazione variabile.

Una prima riflessione, dunque, di carattere squisitamente artistico, conferma la validità della formula Fire! a formazione variabile, adattissima alle sfide del mondo post pandemico, sia in termini di sostenibilità che di necessità di ricucire un rapporto con nuove comunità di ascoltatrici e ascoltatori.

La differenza più evidente è la mancanza delle voci: quelle “dioscurali” di Mariam Wallentin e Sofia Jernberg non sono solo una strepitosa timbrica, ma un potente marcatore narrativo, che àncora l'epica Fire! a un'umanità profondissima. E se è vero che Valeria Sturba ha usato la voce sia nella coralità dei temi che in un lungo, virtuosistico dialogo con Puglisi, un dialogo dal carattere marcatamente teatrale, è un nodo che va risolto perché si aprono mondi differenti. Ma si tratta, appunto, di scelte e di dettagli.

Dal punto di vista della politica di programmazione poi, questa serata padovana suona particolarmente significativa perché in questo primo autunno post-pandemico, in cui molti festival e rassegne si confrontano con una certa riluttanza del pubblico a tornare ad affollare le sale (non è una colpa, è un dato di fatto e un tema su cui riflettere) e in cui la sensazione è che il Covid abbia accelerato alcune dinamiche di cambiamento delle comunità di riferimento, il fatto che si riescano a portare oltre 600 persone a teatro (più di Rava/Hersch o di Charles Lloyd nello stesso festival per darvi qualche proporzione) per una proposta certo non scontata come la Fire! Orchestra è un dato che potrebbe non essere “in controtendenza”, ma indicatore del fatto che sono i linguaggi più avventurosi, più trasversali, quelli che dialogano con la comunità, costruiti da un pensiero e non scelti solo da un roster di agenzia, quelli su cui puntare.

Sono i linguaggi più avventurosi, più trasversali, quelli che dialogano con la comunità, costruiti da un pensiero e non scelti solo da un roster di agenzia, quelli su cui puntare.

Certo, Mats Gustafsson non è l'ultimo arrivato: musicista che frequenta sia i mondi dell’avant/free che quelli del indie/noise, si è creato in questi decenni una solidissima e allargata fan-base che nel “rito” collettivo della Fire! Orchestra trova il proprio momento catartico e identitario, ma il tipo di relazione e coinvolgimento che questo tipo di progetti attiva è non solo decisamente in linea con le migliori pratiche curatoriali a livello europeo, ma diventa anche sempre più necessario per dialogare con nuovi pubblici e rinnovate esigenze.

Staremo a vedere se gli sviluppi delle linee di programmazione di festival e rassegne nei prossimi mesi terranno in considerazione alcune di queste dinamiche, se la necessità di raggiungere nuovi pubblici e di coinvolgere al meglio gli artisti del territorio sarà declinata in modo partecipativo e più coraggioso invece che – come spesso accade – venire rubricata come mera questione di marketing, da risolvere a suon di sponsorizzate sui social.

Per ora ci godiamo gli echi di questa splendida musica, salutando il Festival padovano (ma non il programma del Centro d’Arte che prosegue nelle prossime settimane) al prossimo anno e sperando di rivedere presto nelle fila della Fire! Orchestra le musiciste e musicisti italiani che più sentono l'esigenza di guardare al domani.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

jazz

Bel successo di pubblico per la prima edizione dello storico festival diretta da Joe Lovano

jazz

Applausi al teatro Bonci di Cesena per il debutto della suite Psycho-Chambers (Prisms #1 #2 #3) della Exploding Star Orchestra

jazz

Rob Mazurek, Fabrizio Puglisi e l'Orchestra Creativa del Conservatorio Frescobaldi di Ferrara in concerto a Bologna