I giochi degli dei

A Venezia Cefalo e Procri di Ernst Krenek con una novità di Silvia Colasanti
 

Cefalo e Procri, Fenice
Recensione
classica
Teatro Malibran, Venezia
Cefalo e Procri
30 Settembre 2017

Accanto al grande repertorio in programma al Teatro La Fenice, nello spazio più raccolto del Teatro Malibran va in scena un’interessante serata dedicata al mito ovidiano di Cefalo e Procri. Aperta proprio dai versi di Ovidio, la serata si apre con una nuova composizione di Silvia Colasanti commissionata dal teatro veneziano e costruita attorno ai versi secenteschi di Francesco Busenello per il Lamento di Procri dagli Amori di Apollo e Dafne di Francesco Cavalli.

Intitolato con i versi che chiudono il lamento, “Eccessivo è il dolor quand’egli è muto”, il pezzo della Colasanti è articolato in tre sezioni con la parentesi vocale, costruita vicina alla prosodia del modello seicentesco, racchiusa fra due momenti di denso spessore sinfonico (il secondo, in particolare, rimanda a modelli impressionistici nel suo colorismo legato all’aurora, elemento chiave nello sviluppo della vicenda della coppia del mito). Salto indietro di ottant’anni per la seconda parte della serata, che presenta l’atto unico composto dall’austriaco Ernst Krenek come elemento di un trittico italiano con Teresa nel bosco di Vittorio Rieti e Una favola di Andersen di Antonio Veretti, presentato nel veneziano Teatro Goldoni nel 1934 con la prestigiosa bacchetta di Hermann Scherchen nell’ambito del terzo Festival di Venezia (il Festival di musica contemporanea degli albori). Non particolarmente pregnante dal punto di vista drammatico – oltretutto minata da un improbabile e per niente ovidiano lieto fine – e appesantita da un affettato libretto di Rinaldo Küfferle, l’operina di Ernst Krenek guarda piuttosto indietro ai modelli neoclassici, ignorando del tutto il dettato dodecafonico al quale il compositore già si ispirava in quegli anni (del resto, Krenek stesso, pur non disconoscendola, nell’autobiografia la liquida in maniera piuttosto sbrigativa).

Sicuramente apprezzabile è la cura con la quale il dittico viene presentato al Malibran, con l’attenta e competente direzione di Tito Ceccherini alla testa di un’orchestra del Teatro La Fenice particolarmente ricca di colori, e un drappello di bravi interpreti, fra i quali spiccano la dolente Procri (anche in Colasanti) di Silvia Frigato e l’elegiaco Cefalo di Leonardo Cortellazzi.

Il dispositivo scenico predisposto da Massimo Cecchetto per l’angusto palcoscenico del teatro serve efficacemente l’idea registica di Valentino Villa: un’avanscena asettica come un laboratorio per l’esperimento sulla coppia di sposi di una vendicativa Aurora e di una protettiva “dea fredda” Diana, testimone Crono e una piccola scena nel fondo per il teatrino delle umane vicende.
Pubblico scarso alla prima, applausi.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Non una sorta di bambino prodigio ma un direttore d’orchestra già maturo, che sa quello che vuole e come ottenerlo

classica

Nuova opera sul dramma dell’emigrazione

classica

Napoli: per il Maggio della Musica