I giochi d’acqua giovanili di Glanert

Al Pfalztheater di Kaiserslautern un nuovo allestimento di Drei Wasserspiele lavoro giovanile di Detlev Glanert

Drei Wasserspiele
Drei Wasserspiele
Recensione
classica
Kaiserslautern, Pfalztheater (Werkstattbühne)
Drei Wasserspiele
08 Marzo 2024 - 21 Giugno 2024

Risalgono agli inizi della carriera di Detlev Glanert i Drei Wasserspiele, tre brevi opere da camera tratte da tre delle Three-Minute Plays di Thornton Wilder. In questa composita collezione, il drammaturgo americano propose una serie di drammi di breve durata, se non proprio di tre minuti raramente oltre i dieci, destinati a pochi attori. Il loro tono è molto diverso, spesso leggero, ma profonde sono le questioni esistenziali che vengono sollevate, come spesso nel teatro di Wilder.

Per il suo singolare trittico, Glanert scelse di metterne in musica tre, legati da un comune motivo acquatico: Leviathan (1919), The Angel that Troubled the Waters (1928) e The Angel on the Ship (1917). Nel primo si rappresenta un dialogo fra un principe alla deriva su una nave nel pieno di una tempesta di mare e Briseide, una sirena, che gli offre salvezza in cambio della sua anima. Credendola una visione, il principe argomenta che non è possibile cedere l’anima, condannandosi così all’annegamento. Nel secondo, presso la biblica piscina di Betzaeta (la piscina probatica) un gruppo di disperati attende l’angelo che li guarisca dalle malattie. L’angelo appare prima a un medico, al quale dice di non poter guarire le malattie della mente di cui egli soffre. Guarisce quindi la mano ferita di un uomo, il quale si rivolge al medico supplicandolo di curare i figli dalla malinconia che li affligge. Nel terzo, tre naufraghi su una nave alla deriva battezzano la polena col nome di Lilli e la eleggono a divinità dell’Atlantico. Alla novella divinità marina, I tre confessano i propri peccati implorando salvezza. Quando una nave appare all’orizzonte i tre naufraghi gettano la polena fra i flutti.

Anche se opera giovanile (Leviathan risale al 1985 mentre le altre due sono del 1994), i Drei Wasserpiele presentano già alcune dei caratteri più tipici del Glanert dei lavori più maturi come Oceane, ancora una volta con una sirena protagonista, o il recentissimo Die Jüdin von Toledo: il forte legame con il teatro di parola, la dimensione musicale come estensione della drammaturgia teatrale, l’originalità e la ricchezza nell’orchestrazione. Il tutto, qui, è realizzato con estrema parsimonia di mezzi, all’insegna di un cabalistico tre: tre sono i solisti per tutti e tre gli atti unici (soprano, tenore e baritono), tre i gruppi strumentali fatti di tre strumenti ognuno (flauto, clarinetto e corno; viola, violoncello e contrabbasso; pianoforte/celesta, percussioni e chitarra). Simmetrica è la costruzione di ognuno dei tre microdrammi, ognuno dei quali ha una durata di una ventina di minuti: un breve preludio strumentale affidato a uno strumento a corde, un coro a tre voci di vocalizzi come introduzione che sfocia nell’azione scenica. Se ogni operina è caratterizzata da un colore specifico, è soprattutto nella seconda che l’estro impressionistico della scrittura di Glanert trova i momenti più ispirati, più che in un certo meccanicismo descrittivo della prima o nel surreale vitalismo della terza che tracima nel jazz e nelle musiche di balli popolari.

Fra i fili comuni che attraversano le trame molto diverse dei tre atti unici, il regista Philipp Westerbarkei sceglie ovviamente l’acqua come forte segno visivo per il suo allestimento fatto con pochi mezzi (ma arricchito comunque dalla consueta classe dei costumi di Gianluca Falaschi) nello spazio unico e raccolto del Werkstattbühne, la scena minore del Pfalztheater di Kaiserslautern, dove il lavoro di Detlev Glanert è stato riportato in scena per una delle rare riprese dopo la prima assoluta a Brema di una trentina di anni fa. Attorno all’acqua, evocata già nel titolo (che scherza sull’ambivalenza del termine “Spiel” da intendersi come gioco ma anche come dramma) e presenza “fisica” marcante nella vasca al centro dello spazio scenico, come cornice drammaturgica unificante per i tre lavori Westerbarkei inventa un rito funebre, i cui attori sono una prostituta (Valerie Gels), un prete (Daniel Kim) e un uomo comune (Johannes Fritsche). Sono questi tre personaggi immaginari ad assumere i vari ruoli nei tre atti unici, senza una vera soluzione di continuità. Se l’idea non aiuta troppo a seguire il percorso narrativo dei tre racconti (comunque piuttosto ermetici già alla fonte), è sicuramente efficace nel descrivere tre tormentate ed emblematiche traiettorie di vita e nel sollevare gli interrogativi di ognuno sulle questioni fondamentali dell’esistenza. Inizialmente rivestita da un nero drappo funebre, la vasca viene scoperta e diviene metafora plastica di morte, di rinascita e ancora di morte, quando, nel terzo episodio, la vecchia signora in gramaglie (Claudia Holzapfel), da testimone muta del rito funebre viene eletta a divinità atlantica e emblematicamente affogata nella vasca dai tre naufraghi dell’esistenza. Se Dio è morto, l’umanità non sta troppo bene.

Molto apprezzabile la vivace realizzazione musicale guidata da Anton Legkii alla testa dei nove affiatati musicisti della Pfalzphilharmonie Kaiserslautern.

Sala esaurita. Molti applausi.

 

 

 

 

 

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