I cavalieri musicali di Zurigo
Nella città svizzera si apre una nuova pagina per l’Opernhaus con un quasi nuovo Rosenkavalier e una novità di Steen-Andersen e si guarda al futuro
23 settembre 2025 • 7 minuti di lettura
Zürich, Opernhaus
Der Rosenkavalier
21/09/2025 - 26/10/2025All’Opernhaus di Zurigo si guarda al futuro. E si festeggia. L’occasione è l’arrivo del nuovo sovrintendente Matthias Schulz, già in servizio alla Staatsoper di Berlino, in sostituzione di Andreas Homoki, a fine mandato dopo 13 anni al timone del massimo teatro lirico svizzero. Stagioni a parte, a Schulz toccherà occuparsi anche di “Future Opera”, l’ambizioso progetto che prevede l’abbattimento del complesso costruito negli anni ‘80 accanto all’Opernhaus e la sostituzione con un grande edificio sulla Sechseläutenplatz a due passi dal lago. Dal 2030 l’Opernhaus potrà così contare su nuove sale per un nuovo palcoscenico-laboratorio destinato alla musica contemporanea, al teatro sperimentale e alla danza ma anche su nuovi spazi di aggregazione aperti a zurighesi di tutte le età e classi sociali.
Il fantasma del Bernhard Theater
Tema delicato quello degli spazi per la cultura a Zurigo, specie quando c’è di mezzo l’opera. I zurighesi più stagionati, infatti, non possono non tornare con la memoria all’Opernhauskrawalle, la rivolta dei giovani scoppiata nel 1980. Con lo slogan “Züri brännt” (Zurigo brucia) violente proteste ebbero al centro proprio l’Opernhaus, la cui costosa ristrutturazione assorbì tutti i fondi destinati alla cultura, compresi quelli promessi per la ristrutturazione della vecchia “Rote Fabrik”, una sorta di Leoncavallo in salsa svizzera, centro di attività culturali alternative. Il 30 maggio 1980 circa 200 giovani si riunirono davanti all’Opernhaus per una manifestazione che degenerò rapidamente in una vera e propria guerriglia urbana con impiego di cannoni ad acqua, gas lacrimogeni e proiettili di gomma da parte delle forze dell’ordine.
Quell’episodio rivive in Wie du warst! Wie du bist!, il nuovo “Musiktheater” di Simon Steen-Andersen, andato in scena fra i tavolini dello storico Bernhard Theater, destinato a imminente demolizione e quindi a trovare una nuova casa nel costruendo nuovo edificio. È certamente un gesto fortemente aperto al futuro quello di aprire la nuova pagina dell’Opernhaus con una commissione a una delle personalità musicali più significative ed eclettiche del nostro tempo (e un’altra novità, di Thom Luz, è annunciata per la primavera), anche se Steen-Andersen finisce per parlare di passato o magari di “passati” con il suo ormai classico e personalissimo gioco di specchi che inevitabilmente interrogano pure su ciò che verrà. Anche in questa sua nuova creazione, Steen-Andersen è praticamente l’artefice unico comprese le scelte e trascrizioni musicali non solo operistiche (c’è anche un momento hard rock per “Züri brännt”), affidate a un brillante ensemble, più intonato al varietà del Bernhard Theater che alla seriosità dell’Opernhaus, fatto da Azra Ramic al clarinetto, Antonio Jiménez Marín al trombone, Romane Bouffioux alle percussioni, Melda Umur al contrabbasso, Francesco Palmieri alla chitarra e Stefan Schreiber che dirige tutti seduto all’organo Hammond.
Il titolo di questo lavoro prende a prestito il verso che Hofmannstahl mette in bocca a Octavian proprio all’inizio del Rosenkavalier, opera che forse più di ogni altra ha per protagonista il tempo che passa. E per protagonista sceglie il mezzosoprano rumeno di lungo corso, Liliana Nikiteanu, spesso ospite del palcoscenico maggiore distante solo pochi passi da quello popolare del Bernhard, che rivela molto di sé, della propria storia anche personale, delle proprie paure e dei ruoli del cuore, come proprio Octavian è stato. Steen-Andersen lo fa con il consueto e intrigante gioco fra interviste o documenti storici dei video e azione dal vivo che, con diversi “objets trouvés” musicali, costituiscono l’ossatura di un lavoro concepito come omaggio alla sala che lo ospita, alla sua interprete e al piatto forte di questo weekend inaugurale ossia l’opera di Strauss e Hofmannstahl. Con un pizzico di nostalgia, raffreddata però da una buona dose di ironia, Nikiteanu guida gli spettatori con spirito cantando brani operistici dal Rosenkavalier certo, ma anche dalla Forza del destino con la jella leggendaria che l’accompagna, dal Vampyr di Marschner spiritosa punzecchiatura alle sue origini rumene, dall’Onegin e altro ancora. Ma accompagna anche Steen-Andersen armato di microfono alla ricerca di fantasmi operistici nel sottosuolo del teatro, quando non vola leggera fra le immagini video di spazi teatrali issata su un trono o non si traveste da imbonitrice di un bingo stravagante (il camaleontico Bernhard Theater è anche sala bingo all’occasione) nel quale spunta la classica pallina steen-anderseniana che mette in moto prospettive e percorsi inattesi.
Questa sbilenca e creativa sarabanda si chiude evocando Fellini e il suo Prova d’orchestra con quell’enorme palla metallica che distrugge lo spazio destinato alla musica divenuta ingovernabile. Una scena alla quale, forse, assisteranno gli spettatori delle ultime repliche a fine stagione di questo Wie du warst! Wie du bist!, che alla fine appare un verso tagliato sul corpo prossimo al disfacimento proprio del Bernhard Theater: come eri, come sei … ma come sarai?
Tutti i colori del Cavaliere
Lo spettacolo di punta dei festeggiamenti era naturalmente Der Rosenkavalier (Il cavaliere della rosa) in scena nel palcoscenico maggiore all’Opernhaus. Questo titolo, non infrequente nei teatri dei paesi di lingua tedesca, è stato scelto dal neo-sovrintendente Schulz perché, valore dell’opera a parte, si tratta di un lavoro perfetto per mobilitare tutte le maestranze del teatro in questa sorta di “showcase” di inizio mandato. Curioso è però che l’allestimento sia una ripresa (o piuttosto un riallestimento) di una produzione della Los Angeles Opera di vent’anni fa. Se allora il regista era Maximilian Schell, per questo ritorno zurighese è stata chiamata Lydia Steier, regista di carattere ma che in questo spettacolo, messo a punto con scolastica diligenza, non lascia impronte significative. Vero è che il segno forte lo danno l’allestimento originale e la “concezione estetica complessiva” (così in locandina) di Gottfried Helnwein, poliedrico artista austriaco di stanza a Los Angeles. Gli ingredienti: “Una tavolozza di tre colori principali dominava il Rococò: blu (chiaro/scuro), giallo (oro) e rosso (rosa), e i miei disegni per Der Rosenkavalier riflettono questa scelta. Nel primo atto, tutto è blu, con centinaia di tonalità e sfumature di blu. È come il mattino, un inizio pieno di aspettative. Nel secondo atto, nel palazzo del nuovo ricco dove i due amanti si incontrano, tutto è oro e giallo. Per il terzo atto, l’esplosione conclusiva, ho scelto il rosso, colore dell'amore, dell'odio e della rivoluzione”.
Parole di Helnwein, che, colori a parte, lascia briglia sciolta alla fantasia nei poliedrici costumi, essi stessi una (libera) interpretazione dei personaggi della sublime commedia musicale congegnata da Strauss e Hofmannstahl. Così accanto alle crinoline azzurrine della Marescialla e alle esagerate marsine psichedeliche di Lerchenau, Sophie porta una tunichetta dalle linee classiche come un’eroina dell’antichità, Marianne veste come una nutrice shakesperiana, Valzacchi sembra uscito da un racconto di pirati e la nutrita pattuglia di servitori e lacché hanno abiti dalle linee esagerate come in un libro di favole per bambini. Eccessivo è l’uso di maschere nei personaggi minori, che fan sembrare una Venezia in tempo (eterno) di Carnevale la Vienna dei primi anni del regno di Maria Teresa immaginata dagli autori. Meno ingegnose e complesse le scelte scenografiche che si affidano a tre pareti mobili e qualche elemento dal segno forte per definire gli ambienti (un lettone a baldacchino nel primo atto, uno scalone a elica nel secondo e una gabbia per quello che si direbbe un bordello sadomaso nel terzo, quello dal segno più personale) e, a incombere su tutto e sempre, quei crani umani che si rivelano in tutti i ritratti come un continuo memento mori.
Locandina musicale di lusso, come d’uso a Zurigo, con Joana Mallwitz sulla plancia di comando della Philharmonia Zürich in gran spolvero. Impeccabili la pulizia dell’intrico dei suoni straussiani, la precision nelle complesse polifonie del terzo atto e l’equilibrio con il palcoscenico, fondamentale per un Konversationsstück com’è il Rosenkavalier per la direttrice d’orchestra. E, tuttavia, manca lo sguardo nostalgico e malinconico a un dorato mondo lontano che sa che è destinato a finire. Manca anche alla Marescialla di Diana Damrau, cantante dalle doti non comuni e attrice spigliata, ma ancora lontana dalle vette drammatiche delle grandi interpreti del ruolo. Più in parte Angela Brower, in quello che ormai è il suo cavallo di battaglia, che disegna un Octavian irruento ma anche sensibile, e Günther Groissböck, incontenibile Lerchenau ma impeccabile nella linea vocale. Molto riuscita anche la prova di Emily Pogorelc, che disegna una Sophie volitiva e vocalmente smagliante, mentre fin troppo sbilanciato sul farsesco, compreso in certi eccessi espressivi, è il Faninal di Bo Skovhus. Nessuna smagliatura anche nei copiosi ruoli minori, fra i quali si distinguono soprattutto il burlescamente sinistro Valzacchi di Nathan Haller (mentre molto meno incisiva è l’anemica Annina di Irène Friedli), il corposo oste di Johan Krogius, l’italianamente focoso tenore di Omer Kobiljak e, novità di questo allestimento, il servo di Lerchenau, Leopold, di Sandro Howald, sempre affamato come uno Zanni.
Pubblico in gran spolvero e sala al completo. Gran successo e ottimo inizio per la nuova pagina che si apre a Zurigo. E per i non presenti, dal 2 ottobre lo spettacolo si potrà vedere gratuitamente su ARTE Concert .