Haendel in Brasserie

Scala: Il Trionfo del Tempo e del Disinganno "ambientato" a Parigi

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Georg Friedrich Haendel
03 Febbraio 2016
Nata all'Operhaus di Zurigo, riproposta dalla Staatsoper di Berlino, l'edizione "teatrale" dell'oratorio di Händel firmata da Jürgen Flimm e Gudrun Hartmann approda alla Scala aprendo un nuovo fronte nella programmazione. Perché il sovrintendente Pereira ha annunciato di voler inserire regolarmente nei futuri cartelloni un'opera barocca l'anno e di fondare un organico specializzato in quel repertorio, con alcuni membri dell'orchestra scaligera che suonano strumenti storici. La direzione del Trionfo del Tempo e del Disinganno affidata a Diego Fasolis, in tal senso, è stato uno straordinario biglietto da visita. Pochissimi strumenti in buca, colori aspri, sonorità trasparenti, vivacissime, trascinanti. Le voci si adattano perfettamente a questa lettura; Martina Janková (Bellezza), Lucia Cirillo (Piacere), Sara Mingardo (Disinganno), Leonardo Cortellazzi (Tempo) riescono anche a dare corpo a personaggi condannanti a rimanere pure astrazioni. Con un rischioso colpo di mano, i due registi hanno ambientato l'oratorio in una brasserie parigina anni Venti, dove i quattro protagonisti convivono con avventori d'ogni genere e stuoli di camerieri dai lunghi grembiuli. C'è un continuo avvicendarsi di controscene studiatissime, che suggeriscono aneddoti, distillati di biografie, talvolta in sintonia col dibattito filosofico sul tempo che fugge e il destino mortale dell'uomo, ma il più delle volte solo come immagini da fondale. Ci sono irruzioni di clienti assiderati, coperti di nevischio, che si precipitano a bere al bancone o gruppi di suore coi grandi cappucci inamidati, perfino un siparietto in costumi settecenteschi con un giovane Händel che suona l'organo (in ricordo della "prima" alla presenza del cardinale Pamphilj, committente e autore del libretto dell'oratorio). Non c'è un attimo di pausa in questa confusione regolata al millimetro, che tuttavia finisce per mostrare la corda. Perché in questa brasserie, costruita sull'elegante scenografia di Erich Wonder ispirata alla Coupole di Parigi, ma che ricorda alcuni quadri di Edward Hopper, si beve, si balla, si regalano fiori, si corteggiano eleganti indossatrici, ogni tanto si mangia qualcosa, ma ci si annoia da morire. E verrebbe voglia di consigliare agli avventori, visto che vivono in quegli anni meravigliosi, di piantarla lì, di varcare la Senna e andare a vedere uno spettacolo dei Ballets Russes dove la Bellezza e il Piacere trionfano sempre sul Tempo e il Disinganno.

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