Gran finale di Romaeuropa Festival con “Einstein on the beach”

L’opera di Philip Glass presentata in una versione da concerto di durata ridotta, ma in un’esecuzione musicale perfetta

Einstein on the beach (foto Piero Tauro)
Einstein on the beach (foto Piero Tauro)
Recensione
classica
Roma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia
Einstein on the beach
20 Novembre 2022

Da quando fu rappresentata per la prima volta quasi mezzo secolo fa – era il 1976 – Einstein on the beach di Philip Glass è un’icona del teatro musicale contemporaneo. È stata ripresa in decine di teatri in tutto il mondo, in Italia è stata vista a Venezia nella produzione originale del 1976 e a Reggio Emilia nel 2012 in un nuovo allestimento, cui partecipavano vari artefici della produzione originale ma non Glass. Ora è arrivata a Roma come evento conclusivo del Romaeuropa Festival, però in una versione da concerto. Ma se Einstein on the beach  diventa un concerto, si perde l’aspetto più originale e interessante di quest’opera, che con un termine un po’ uscito di moda potrebbe essere definita una non-opera. Già, perché in Einstein on the beach  c’è ben poco di quello che un frequentatore abituale dei teatri d’opera si aspetta. Non si narra una storia, non esistono dei personaggi intesi in senso tradizionale (Einstein appare in qualche momento, ma impersonato da un violinista), non si basa su quel che normalmente si definisce libretto, perché il testo è nato indipendentemente dalla musica - e viceversa - e consiste principalmente di ampi frammenti scritti da un giovane autistico, Christopher Knowles, con l’aggiunta di testi scritti dall’attore Samuel Johnson e dalla danzatrice-coreografa Lucinda Childs, che collaborarono alla prima produzione delle spettacolo. E questi testi non venivano cantati ma recitati. Il coro - che ha indubbiamente la parte principale, anche per estensione - canta un testo che snocciola il nome delle note o serie di numeri, con appena qualche parola, ma isolata e quindi priva di senso. Fondamentale in Einstein on the beach  è - o piuttosto era - la parte visiva creata da Robert Wilson, che secondo alcuni dovrebbe essere considerato il vero ideatore e anche il principale autore di quest’opera, infatti Glass stesso afferma di aver scritto la sua musica tenendo sempre sotto gli occhi i bozzetti preparati per lo spettacolo dal regista-scenografo-costumista e light designer.

Einstein on the beach come è stato eseguito a Roma era dunque molto diverso dalla versione teatrale, sia perché è diventato un “normale” concerto (un minimo residuo teatrale erano gli sporadici spostamenti degli interpreti sul palco e alcuni semplici effetti luminosi) sia perché la durata è stata ridotta a tre ore e venti minuti senza intervallo (più o meno la stessa dell’incisione in cd) dalle quasi cinque ore originali. Non era però un pastrocchio abusivo ma una versione approvata da Glass e l’esecuzione era perfetta o vicinissima alla perfezione. Sicuramente è stata una grande esperienza d’ascolto.

Einstein on the beach (foto Piero Tauro)
Einstein on the beach (foto Piero Tauro)

La musica di Glass tutti la conosciamo e non ci sarebbe molto da aggiungere, perché nel 1976 era nel pieno dello stile ripetitivo tipico di tutta la sua musica. Ma si sa che il ripetitivo di Glass è sempre uguale ma anche sempre leggermente diverso. E le scene inziali di Einstein on the beach  ne sono una versione monumentale per durata e per organico impiegato, di grandissimo impatto. Ma il meglio è venuto nella seconda metà del concerto, quando si creano sovrapposizioni tra i due cori e l’ensemble strumentale con effetti poliritmici complessi e di grande effetto. E poi ci sono il lungo ‘solo’ del violino, anche in dialogo con gli altri esecutori, e il travolgente ‘solo’ del flauto, un pezzo di grande difficoltà, stupefacente, che lascia senza fiato: bravo il violinista Igor Semenoff, bravissimo il flautista Michael Schmid. Suzanne Vega, qui in veste di attrice e non di cantante, ha letto con intonazione ideale i lunghi e astrusi testi. Perfetto il Collegium Vocale Gent diretto da Maria van Nieukerken, che ha cantato senza una sbavatura e senza un segno di stanchezza per circa tre ore o poco meno. Dal coro si è distaccata il soprano Elisabeth Rapp, per cantare quella che potremmo definire l’unica aria per una voce solista di Einstein on the beach.  Ineccepibile anche il piccolo gruppo strumentale Ictus diretto da Tom De Cock.

La grande sala era esaurita. come nella produzione originale, le porte erano state lasciate aperte e alcuni pochi ne ha approfittato per dileguarsi, mentre la grande maggioranza del pubblico ha reagito con grande calore, ognuno a modo suo: alcuni applaudendo durante l’esecuzione e lanciando fischi e grida da concerto rock, altri aspettando la fine per applaudire con composto entusiasmo. Bello vedere un pubblico di provenienza così mista riunito e concorde almeno per una volta.

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