Gatti incanta a Parigi

Bella edizione di "Tristan und Isolde" diretta dal maestro milanese, con la regia di Audi

Recensione
classica
Théatre des Champs-Elysées
Richard Wagner
21 Maggio 2016
Buio in sala ma nessun applauso all'entrata del direttore. Daniele Gatti ha preferisto nascondersi fra gli orchestrali e, siccome la buca del Théâtre des Champs-Elysées è profonda, può dare l'attacco senza essere visto. Ha a disposizione l'Orchestre National de France, della quale è direttore musicale da otto anni, e tutto funziona alla perfezione. Anzi molto di più, perché la lettura di [i]Tristan und Isolde[/i] del maestro milanese è quanto di più coinvolgente e nello stesso tempo analitico si possa ascoltare. Gatti riesce a lasciarsi andare senza timore, eppure ha un controllo assoluto di ogni particolare. Una meraviglia. Il cast è di tutto rispetto. Rachel Nicholss, voce chiara e intonazione precisa, è del tutto padrona del personaggio di Isolde, capace di passare dall'ispida ragazza del primo atto, alla tenera amante, alla sacerdotessa di amore e morte. Torsten Kerl è tenore sicuro di sé, ne ha dato maggior prova nell'ultimo atto, con il solo handicap della corpulenza. Ottimo il Kurwenal
 di Brett Polegato, come pure la Brangäne di Michelle Breedt, strepitoso il re Marke di Steven Humes, per voce e maestosità di presenza scenica. La regia di Pierre Audi è essenziale e ben curata, senza troppe fantasie. Ha inventato un quadrato nero che fa da mezzo sipario, lascia intravedere la scena per un po' e poi sparisce. Durante il preludio, con le silhouettes dei due protagonisti, Audi racconta l'antefatto di Isolde che avrebbe voluto trafiggere Tristan ferito, mentre occupa il primo atto con dei movimenti di massicce paratie scure che cambiano di continuo lo spazio. Cita anche un altro antefatto in una breve controscena, la testa di Moroldo impalata. Risolve con eleganza gli effetti del filtro d'amore, ponendo i due protagonisti in ginocchio, che appoggiano la fronte l'uno contro l'altra. Nel secondo atto invece alberi avvizziti a forma di gigantesche costole e una strana pietra nera gigante costruita con una stoffa che si affloscia all'alba lasciando a vista lo scheletro di metallo. Nel terzo un trespolo dov'è esposto un cadavere fasciato a mo' di mummia (forse un anticipazione della morte, ma comunque una presenza fuori posto che distrae lo spettatore), un siparietto per Tristan morente che alla fine si apre e si trasforma in un piccolo palcoscenico per il Liebestod di Isolde che resta ritta in controluce, con effetto quasi sacrale, evitandole gestualità a vuoto sul corpo dell'amato. Nello spettacolo c'è qualche incongruenza di età dei personaggi. La prima è voluta dal regista, non si capisce perché Melot (Andrew Rees) debba essere decrepito e zoppo e Tristan possa sfidare un poveraccio in quello stato. L'altra invece è dettata dal caso, perché re Marke appare talmente prestante, giovane e di bell'aspetto che vien da chiedersi come mai Isolde non se ne innamori subito. Ma si sa, il filtro fa miracoli. Al termine applausi fragorosissimi per tutti.

Interpreti: Torsten Kerl: Tristan; Rachel Nicholls: Isolde; Michelle Breedt: Brangäne; Steven Humes: Re Marke; Brett Polegato: Kurwenal; Andrew Rees: Melot; Marc Larcher: un pastore, un giovane marinaio; Francis Dudziak: un timoniere.

Regia: Pierre Audi

Scene: Christof Hetzer

Costumi: Christof Hetzer

Orchestra: Orchestre National de France

Direttore: Daniele Gatti

Coro: Chœur de Radio France

Maestro Coro: Stéphane Petitjean

Luci: Jean Kalman

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