A Francoforte una Butterfly senza giapponeserie
All’Oper Frankfurt ripresa dell’allestimento di R.B. Schlater con Corinne Winters splendida protagonista
Cosa resta della Butterfly se si tolgono giapponeserie e bonzerie? Praticamente tutto! L’allestimento firmato da R.B. Schlather per l’Oper Frankfurt nella scorsa stagione (e tornato in scena in questa grazie alle cure di Aileen Schneider) rinuncia a tutto il tradizionale apparato iconografico della “casa a soffietto” che accompagna inscindibilmente l’opera pucciniana ma il dramma non ne soffre. Anzi.
Lo spazio scenico disegnato Johannes Leiacker è fatto di una semplice pedana bianca e due grandi pannelli scorrevoli con una apertura rettangolare, uno, bianco, sul fondo e l’altro, nero, sul davanti. In quel grande spazio vuoto, amplificatore di solitudini, macchiato solo di ombre (le fredde luci, studiatissime, sono disegnate da Olaf Winter), la vicenda della sposa bambina Cio-Cio-San viene restituita in tutta la sua feroce crudeltà: non è la geisha bambina ma una donna ancora nell’età dei giochi che per sfuggire alla miseria si vende a chi, si illude, può donarle l’amore. Abbandonata dal suo uomo, Cio-Cio-San lo aspetta vestita dello stesso abito di paillette che indossava nella dolce notte delle nozze e che l’accompagna fino alla fine, particolarmente straziante. Non è il suicidio rituale che viene mostrato al pubblico, ma ancora una volta una solitudine, questa volta quella del figlio nato dall’illusione di un amore. Nel vuoto totale della scena, quel bambino senza colpa è seduto sulla sedia con le gambe ciondolanti, mentre la madre lo abbandona per sempre per compiere quel sacrificio “perché tu possa andar di là dal mare senza che ti rimorda, ai dì maturi, il materno abbandono.”
Un allestimento come questo per funzionare ha bisogno di ottimi interpreti ma soprattutto di una protagonista di non comuni capacità attoriali oltre che, va da sé, vocali. Già nella Kat’a Kabanová vista a Salisburgo nella scorsa estate, Corinne Winters quelle capacità le aveva mostrate in un allestimento che faceva leva essenzialmente sulla fisicità dei suoi interpreti. Quelle qualità le conferma anche in questa Butterfly alla quale presta il fisico minuto e fragile solo all’apparenza e la voce, non enorme, ma capace di dare verità a quel grande ruolo tragico per uno scandaglio psicologico di grande intensità. Molto riuscita la prova di Bianca Andrew, una Suzuki ben descritta nell’introversa ma sofferta partecipazione emotiva. Convincono meno invece Rodrigo Porras Garulo, che è un Pinkerton poco sfaccettato anche nel fraseggio piuttosto monotono e con troppe forzature negli acuti, mentre Liviu Holender, è uno Sharpless corretto ma piuttosto monocorde. Fra i ruoli minori, un rilievo particolare ha la figura del sensale Goro, qui ambiguo onnipresente mezzano procacciatore di donne e traffici loschi, che è un brillante Michael McCown.
Pier Giorgio Morandi guida con collaudato professionismo la macchina musicale della solida Frankfurter Opern- und Museumsorchester. Il suono è bello e pieno, anche se talvolta tende a sopraffare le voci sul palcoscenico.
Lo spettacolo funziona e la risposta del pubblico è calorosa, con molte ovazioni all’indirizzo della bravissima protagonista.
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