Elogio della lentezza

Musica 90 a Torino con Carla Bozulich e Hildur Guðnadóttir

Hildur Guðnadóttir (foto j.t.)
Hildur Guðnadóttir (foto j.t.)
Recensione
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Musica 90 Torino
19 Ottobre 2010
Due giorni di musica lenta, dove “lenta” non sta per noiosa, naturalmente. Almeno, così è stato per buona parte del doppio concerto al Museo di Scienze Naturali di Torino, prima parte musicale della XXI edizione della stagione di Musica 90, che ha visto prima la coppia Carla Bozulich-Massimo Pupillo (martedì 19, insieme a (r), progetto solista di Fabrizio Modonese Palumbo dei Larsen), poi (il 20) Hildur Guðnadóttir. Diverse le lentezze in gioco: di feedback rarefatti quelle di (r), frammenti di canzoni sciolti nel mare della distorsione elettrica della chitarra, che a tratti suggestionano e astraggono, a tratti – semplicemente – non arrivano. Rischio inevitabile di una poetica di scelte minimali, in cui il filo del rasoio fra emozione e indifferenza è più affilato che mai, e più che mai soggettivo. Rischio da cui non passano del tutto esenti neanche Carla Bozulich e Massimo Pupillo: lontani dalla violenta catarsi della musica degli Zu, di cui Pupillo è bassista, e più vicini ad alcuni lavori della Bozulich (l’intensa “Evangelista I”, dal quasi omonimo album, compare subito), i due propongono una musica tesa e mai risolta, fatta di tempi dilatati, di gesti misurati e con poche, ma memorabili, esplosioni liberatorie. La Bozulich si aggira fra il pubblico, cantando in faccia alla gente i suoi “blues”; defilato Pupillo, che lavora di sottrazione concentrandosi più sulla “melodia dei timbri” che riesce a cavare dal suo basso in feedback che non sulle armonie. Se la lacerazione di “Star Spangled Banner” fatta da Hendrix è per molti il suono della crisi americana, del Vietnam, allora forse – mutatis mutandis - quella specie di “Inno islandese” cantato (unico brano con voce) da Hildur Guðnadóttir potrebbe ambire a essere il suono del crack islandese: un canto “violento, vichingo” - lo definisce l’interessata - che sulle sue corde vocali (raddoppiate digitalmente) diventa un fantasma di canzone, fatato e misterioso. La violoncellista nordica, nota per le sue frequentazioni di mùm e, recentemente, The Knife (e altri ancora) presenta il suo set in solitario. Un violoncello solo trattato piuttosto canonicamente, con gusto da “classica contemporanea” ma sensibilità “pop” – o viceversa (lei chiama “song”, non a caso, le sue composizioni). Loop sovraincisi, non con intento minimalista, come di solito, ma usati piuttosto in senso impressionista, per muovere grumi di timbri e accordi al di sotto della “canzone”: una tempera acquosa, molto [i]icelandic[/i].

Interpreti: Carla Bozulich: voce, chitarra, effetti; Massimo Pupillo: basso (r) Fabrizio Modonese Palumbo: chitarra, voce, viola elettrica; Daniele Pagliero: elettronica, basso. Hildur Guðnadóttir: violoncello e voce

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