Don Giovanni nell'arena

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Recensione
classica
Teatro di San Carlo Napoli
Wolfgang Amadeus Mozart
12 Dicembre 2002
Una grande pedana che prolunga il palcoscenico, protendendosi verso la platea con due bracci che avvolgono l'orchestra e, in scena, un gradinata semicircolare destinata ad essere riempita da manichini, attori, musicisti e cantanti. Questa è l'idea "forte" con cui Mario Martone presenta il Don Giovanni che apre la stagione lirica del San Carlo: spettacolo che, almeno sulla carta, si presenta come evento di punta del cartellone di quest'anno. La soluzione immaginata da Martone con Sergio Tramonti è, in fondo, piuttosto semplice e ha il pregio di rispondere ai problemi scenici dell'opera con una doppia mossa di efficace chiarezza, anche se in più di un momento il meccanismo registico che ne deriva, in relazione alla musica appare un po' freddo e cerebrale. Da un lato la scena fissa - a metà tra un'arena e un teatro elisabettiano - inquadra tutta l'azione in una cornice metateatrale, con una tribuna, inizialmente popolata di finti spettatori, che progressivamente va svuotandosi, lasciando giganteggiare per tutto il secondo atto la statua del Commendatore in mezzo ad un nugolo di manichini: una progressione che ha il senso di dare corpo visivo alla corsa del protagonista verso la solitudine e la morte. Dall'altro lato, il prolungamento del palcoscenico - già adottato dallo stesso Martone nel Così fan tutte di quattro anni fa - allarga il perimetro del gioco teatrale verso i palchi di proscenio e verso la platea, lasciando svolgere in mezzo al pubblico parti dell'opera, tra cui i funerali del Commendatore, e la caccia a Don Giovanni da parte di Masetto e dei suoi contadini armati. Superato un certo impaccio iniziale, forse dovuto anche al tono di ufficialità dato alla prima di quest'anno dalla presenza del Capo dello Stato e di un folto numero di ministri e sottosegretari, lo spettacolo prende maggior spigliatezza nel secondo atto; anche la direzione di Ferro, dopo qualche incertezza iniziale, si fa più sicura e disinvolta. Certo, non sempre le incredibili finezze della scrittura mozartiana prendono il giusto risalto e i recitativi secchi nel complesso non appaiono adeguatamente sostenuti (ma al fortepiano che ora va tanto di moda, non sarebbe stato preferibile un più sonoro clavicembalo?), ma nel complesso l'opera respira con credibile naturalezza. A testa alta escono tutti gli elementi di una compagnia di canto che si dimostra molto ben assortita. Collaudatissime, le componenti del terzetto femminile confermano la loro fama: Anna Caterina Antonacci disegna con superba evidenza vocale la parte di donna Elvira, Mariella Devia dà accenti intensi e patetici alla figura di donna Anna e Elisabeth Norberg-Schulz incarna con grazia e sensualità il ruolo di Zerlina. Ildebrando D'Arcangelo come Don Giovanni e Andrea Concetti come Leporello, incarnano con atletica baldanza e piena pertinenza vocale i rispettivi ruoli, formando una coppia in cui il rapporto servo-padrone si tramuta in una relazione di complicità. Convincenti anche gli altri interpreti maschili, Massimo Giordano nel ruolo di Don Ottavio, Giampiero Ruggeri in quello di Masetto, Riccardo Ferrari in quello del Commendatore. Il pubblico risponde con calore, non risparmiando gli applausi.

Note: nuovo all.

Interpreti: Anna Caterina Antonacci, Mariella Devia, Elisabeth Norberg-Schulz, Ildebrando D'Arcangelo, Andrea Concetti, Massimo Giordano, Giampiero Ruggeri, Riccardo Ferrari

Regia: Mario Martone

Scene: Sergio Tramonti

Costumi: Sergio Tramonti

Orchestra: Orchestra del Teatro di San Carlo

Direttore: Gabriele Ferro

Coro: Coro del Teatro di San Carlo

Maestro Coro: Ciro Visco

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