Don Carlo alla Scala con buon esito e qualche complicazione

Don Carlo diretto da Gatti apre la stagione alla Scala, sostituzioni improvvise e reazioni pilotate dal loggione

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Giuseppe Verdi
07 Dicembre 2008
Quest'anno l'inaugurazione di Sant'Ambrogio si è svolta due giorni prima grazie alla prova generale aperta agli studenti, ma anche dietro le quinte. Assente dalla generale e dalla prima Salminen (Grande Inquisitore), presente alla generale ma depennato dalla prima Filianoti (Don Carlo). Avendo una voce poco adatta al ruolo, il tenore la sera del 4 è stato obbligato a forzare con esiti sempre più imprecisi. Tanto che c'è da chiedersi come mai la Scala abbia fatto tale scelta e perché la sostituzione sia arrivata così tardi. Fin dall'attacco coi corni all'unisono si capisce quale cupa sacralità voglia sottilineare Gatti, dov'è possibile sceglie sempre tempi lenti, aulici. Complice la dislocazione degli strumenti (i legni a sinistra coi corni, al centro i violoncelli, a destra violini, viole e percussioni) l'orchestra offre colori nettissimi, trasparentissima in ogni occasione, anche nel violento preludio al IV atto. Nel III Gatti ha reinserito il compianto sulla salma di Rodrigo (divenuto poi il "Lacrimosa" del Requiem) che obbliga Dalibor Jenis (ottimo marchese di Posa anche per presenza scenica) a rimanere stecchito a terra per troppo tempo. Con quest'ultimo, altro protagonista della serata è Furlanetto, espertissimo Filippo II, debolmente contrastato dal Grande Inquisitore di Kotscherga, penalizzato da qualche flebile emissione. Fiorenza Cedolins quale Elisabetta è corretta, ma senza un briciolo di commozione, nemmeno all'oltraggio del re. Dolora Zajick quale Eboli è ancora capace di exploit vocali, alla fine però rimane una matrona poco convincente. Infine Stuard Neill, ripescato dal secondo cast nel ruolo del protagonista. Certo non ha "le fisique du role", ma si è dimostrato sicuro di sé anche nei passaggi pericolosi. Ha un voce rotonda e duttile, il suo limite è l'essere di forma sferica, il che gli impedisce una gestualità disinvolta. Men che meno di cadere a terra. La regia di Braunschweig, che si avvale dei bei costumi di van Craenenbroeck, è incentrata sull'idea del doppio. Al I atto sulla parte alta del palco è proiettato il bosco di Fontainebleau, dove s'incontrano Elisabetta e Carlo bambini. Uno stratagemma per recuperare l'atto francese tagliato e dire altro. Compare infatti anche un piccolo doppio di Rodrigo, inseparabile amico d'infanzia di Carlo, tanto che quest'ultimo, quando deve consegnare la spada nel II atto, la dà a lui non al baritono. Il legame affettivo, adolescenziale fra i tre, rimane insomma una costante dello spettacolo. Poco riuscita è invece l'ascesa al cielo del doppio di Carlo nell'autodafè, il segno registico si fa pasticciato perché è il momento della Voce dal cielo. Efficaci i cardinali sugli alti scranni, coi camici lunghi fino a terra, mentre il coro popolare porta vestiti fuori dal tempo (forse anni Trenta, in ricordo della guerra civile spagnola), a significare che di oppressi ce ne sono sempre. In primo piano o sul fondo è onnipresente il cenotafio di Carlo V, che alla fine compare in carne e ossa, cancellando ogni ambiguità sul suo status di probabile revenant. Successo di pubblico indubbio, come si conviene alla serata di apertura di stagione, ma con buu organizzati in loggione ogni volta che Gatti raggiungeva il podio e durante i ringraziamenti finali. Ai quali la platea ha reagito raddoppiando gli applausi. Stessa sorte è toccata a Neill, che come il Maestro ha immeritatamente pagato l'allontanamento del tenore annunciato in locandina (ma presente in un palco). Ben magra soddisfazione per i suoi fans disturbatori.

Interpreti: Don Carlo: Stuard Neill Grande Inquisitore: Natolij Kotscherga

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