Die Walküre, le ombre di Wilson

Continua l'esplorazione di WIlson dell'universo del Ring. Si conferma eccellente l'Orchestre de Paris. Un trionfo per Mihoko Fujimura nei panni di Fricka.

Recensione
classica
Théâtre du Châtelet Parigi
Richard Wagner
21 Ottobre 2005
Ormai Robert Wilson non ha più segreti per lo spettatore parigino. L'oro del Reno ha permesso di levare il velo sulla visione misurata, con gesti ritualizzati fortemente ispirati dalla tradizione giapponese. È questo il Ring di Wilson e, una dopo l'altra, le quattro giornate saranno un approfondimento in un universo che non ha certo colpi di scena nella manica. Die Walküre prolunga (ed eventualmente estremizza) quanto già visto nel Rheingold. Gesti lenti, figure dis-umane stagliate sul fondo insieme ad una ricerca perenne dell'essenzialità fino all'astrazione. Certo, questo secondo spettacolo ha rivelato quanto la regia di Wilson sia debitrice delle luci che hanno veramente la capacità di plasmare i personaggi. Le luci modellano, creano metamorfosi in un gioco che inevitabilmente rinvia alla tecnica delle ombre cinesi. Inevitabilmente, con questa ricerca dell'essenzialità non vanno certo a braccetto alcuni effetti pre-hollywoodiani pur concepiti da Wagner. Ad esempio, è inutile di attendersi una vera "cavalcata delle Walchirie"; ci si dovrà accontentare di un rituale simbolico, ridosso all'osso. Anche per il sacrificio di Brünnhilde è meglio non avere troppe pretese realistiche : un cerchio di fuoco è già molto per l'universo di Wilson. L'orchestra trionfa. A tratti - come all'inizio dell'atto II, per l'arrivo delle fanciulle - abbandona i toni cameristici sbandierati da Eschenbach. In ogni caso, una vera delizia per precisione, per varietà di colori, per forza. Ancora una volta, l'Orchestre de Paris non perde l'occasione per stupire. Linda Watson delude nei panni di Brünnhilde : alcune prestazioni sono pasticciate, anche se nel complesso la sua è un'esecuzione più che decorosa. Il Wotan di Jukka Rasilainen ammalia per la prestanza fisica che non è purtroppo all'altezza delle capacità vocali. Eccelle invece Stephen Milling (Hunding). Ma la stella della serata si conferma Mihoko Fujimura che si concede in una Fricka piena di eleganza e di forza. Qualche sbavatura (nel cast) e qualche ripetitività di troppo (nella regia) non posso, comunque, offuscare uno spettacolo che resta, malgrado tutto, sontuoso.

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