Das Rheingold secondo WIlson

Con Das Rheingold comincia l'impresa voluta dall'attuale direzione dello Châtelet: tutto il Ring entro la fine dell'anno. Robert Wilson rivela sin dalle prime scene il suo modello: il teatro giapponese.

Recensione
classica
Théâtre du Châtelet Parigi
Richard Wagner
19 Ottobre 2005
Le quattro giornate sono dunque cominciate. È noto che Jean-Pierre Brosmann ha scelto Der Ring des Nibelungen per il suo addio alla direzione dello Châtelet. Che dal prossimo anno passa ufficialmente nelle mani di Jean-Luc Choplin. L'intera tetralogia nello spazio di una sola stagione? È questo il progetto di Brosmann che è andato a pescare un collaboratore di sempre: Robert Wilson. Sarebbe già un evento, senza che lo Châtelet avesse in più avuto l'audacia di avvalersi del sostegno dell'Orchestre de Paris, compagine non tradizionalmente legata al repertorio wagneriano. Una miscela inaspettata che fomenta interesse e curiosità? A giudicare dal botteghino, l'impresa è riuscita. E artisticamente? Qual è l'esito di queste due ore e mezza eseguite tutto d'un fiato, senza intervallo? Wilson opta per un'estetica misura, controllata. Fin dalle prime immagini, è chiaro quale sia il suo modello ispiratore: un teatro giapponese stilizzato, epurato dall'occhio dell'occidentale che tenta un sincretismo tra la tradizione Nô e i film di Kung Fu (con le scene di duello passate al rallenti, però). Tutto è lento, soppesato tanto da finire per trasformare questo Oro del Reno in un rituale fuori dal tempo. E certo non è solo la regia a determinare quest'atmosfera: ci mettono lo zampino pure i costumi (Frida Parmeggiani) e le luci (Kenneth L. Schutz), entrambi posti sotto la supervisione di Wilson. Lo spettatore ritrova, una dopo l'altra, scene che alla lunga finiscono per apparire come ripetitive. In ogni caso, l'estetica di Wilson si rivela contagiosa. Pure l'esecuzione musicale si adatta al diapason del regista americano. Inutile attendersi esplosioni liriche o slanci orchestrali. D'altra parte, la visione controllata "alla giapponese" pare perfettamente andare a braccetto con quello che il direttore d'orchestra aveva dichiarato alla vigilia: Eschenbach vede nel Ring "un'atmosfera da musica da camera". E non si tratta di una frase ad effetto, a giudicare dall'esito. L'Orchestre de Paris si rivela la vera (felicissima) sorpresa della serata. Il cast fa il resto. Spiccano Mihoko Fujimura (Fricka) e Qiu Lin Zhang (Erda). Prodigiosamente sorprendente Sergei Leiferkus. Non al massimo delle sue possibilità è, invece, sembrato Jukka Rasilainen (Wotan). Un inizio che dà voglia di vedere il resto.

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