Corea, un tesoro da riscoprire in otto

Cura e visione d'insieme nel nuovo progetto del SFJazz Collective, presentato al Jazz Stardard di New York

Recensione
jazz
La cura degli arrangiamenti, la freschezza, la precisione. Ci si ritrova a pensare a queste e a molte altre cose quando i San Francisco Jazz Collective sono sul palco. Nel fine settimana hanno presentato a New York il loro ultimo lavoro, dedicato a Chick Corea. Il concerto tra i velluti rossi del Jazz Standard di Manhattan, in un impegnativo triplo set replicato per due giornate, mantiene ogni brano in tensione costante. Il materiale di base è già più che ricco; la peculiarità di questo collettivo nato nove anni fa sta tutta nell’espandere ulteriormente le potenzialità dei pezzi per un organico di otto elementi, e nel farlo con una raffinatezza estrema.

I componenti sono nomi di punta del jazz più recente: Miguel Zenon (sax alto), David Sanchez (sax tenore), Avishai Cohen (tromba), Robin Eubanks (trombone), Stefon Harris (vibrafono), Edward Simon (pianoforte), Matt Penman (contrabbasso) e Jeff Ballard (batteria). Anche se con il tempo alcuni componenti sono cambiati (gli ultimi due ingressi sono Sanchez e Ballard), resta un progetto caratterizzato dallo spirito di gruppo.

Se state pensando a un supergruppo, dimenticatelo: sono un collettivo vero. Si concentrano su un compositore jazz con la doppia intenzione di riarrangiare alcuni dei suoi pezzi e di scrivere nuovi brani ispirati al suo stile. Dopo un anno di live, la pubblicazione del disco (spesso un doppio album) racchiude il cuore del progetto. L’hanno fatto con nomi come Stevie Wonder, Wayne Shorter e Thelonious Monk, e nel 2012 è toccato a Corea. Un lavoro di scrittura finissima. Ma tutte queste informazioni non servono quando sono sul palco. Lo senti.

Lo senti quando parte “Matrix” e ti ritrovi catapultato in decine di momenti differenti, come se venissi investito da fasci di luce che arrivano ora dai fiati, ora dal vibrafono, ora dalla ritmica. Succede anche in “500 Miles High”, quando Cohen spinge sugli acuti, per poi lasciare la scena a Harris (in grandissima forma), che insegue una minuscola cellula per un tempo lunghissimo, facendo poi esplodere la dinamica. Subito dopo tocca a due delle “Children Song” (la #1 e la #9), seguite da un pezzo originale che riprende le sonorità giocose dei due brani di Corea.

Questo lavoro sui contemporanei, portato avanti con decisione per tutti questi anni, rivela un grande senso del proprio tempo da parte di musicisti che potrebbero semplicemente brillare di luce propria, ognuno nei propri progetti. Invece qui non c'è solo molto lavoro individuale, c'è soprattutto l'insieme, la perseveranza costante. E l'intenzione di far risplendere alcuni tesori dei giorni nostri.

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