Convince il Wagner semiscenico

A questa splendida esecuzione è mancato solo il protagonista. Ottimo invece il contributo dei complessi dell'Accademia di Santa Cecilia

Recensione
classica
Accademia Nazionale di Santa Cecilia Roma
Richard Wagner
11 Ottobre 2001
A Roma Wagner non lo si vede da anni, perché l'Opera lo presenta, quando se ne ricorda, in esecuzioni concertistiche, forse credendo che si tratti d'una specie d'oratorio e non della mitica opera d'arte totale. E naturalmente lo si esegue in concerto anche all'Accademia di Santa Cecilia, che però adesso ha sperimentato un Tannhäuser in forma semiscenica. In pratica: l'orchestra è al suo solito posto, mentre solisti e coro agiscono su una pedana alle spalle degli strumentisti e su due passerelle laterali sopraelevate, che si protendono verso il pubblico. Alcuni schermi accolgono luci, colori o immagini che suggeriscono la fioritura primaverile, la spoglia natura autunnale, le fiamme delle fiaccole. Anche i costumi sono molto indeterminati e accennano a tuniche femminili o a vesti di cavalieri. Sono immagini e gesti semplici, chiari e immediati, che discendono direttamente dal fatto musicale e non si curano d'illustrare, di narrare, di spiegare quel che avviene. Daniele Abbado è ormai uno specialista di questo tipo d'allestimenti (a Roma ha già realizzato Der Freischütz e Fidelio) e il risultato è stato pressoché ideale, anche perché una certa statica ieraticità non disdice al Tannhäuser (la controprova l'ha fornita la sensuale scena del Venusberg, l'unica riuscita malino). L'esito d'uno spettacolo di questo tipo dipende in gran parte anche dalla convinzione e dall'intensità che i cantanti sanno mettere in una recitazione ridotta all'essenziale: bisognava vedere Emily Magee scrutare quasi immobile il coro dei pellegrini, che s'avvicina, passa e s'allontana, e non riconoscere tra loro il suo Tannäuser. C'era una simile concentrazione interiore anche nella sua interpretazione vocale, sorretta da una voce talvolta tesa dallo sforzo ma sempre nobile e controllata. Invece sarebbe stato meglio non vedere Louis Gentile, un Tannhäuser esteriore, volgare e arruffone sia scenicamente che vocalmente. Era l'unica - ma grave - menda d'un cast che aveva in Petra Lang una Venere statuaria, non molto insinuante e seducente ma autoritaria come una vera dea dell'Olimpo, e in Detlef Roth un Wolfram poeticissimo, capace di sfumature liederistiche. Inappuntabili tutti gli altri. Grandi protagonisti sono stati anche i complessi dell'Accademia, apparsi in splendida forma: il coro, disposto sulle due passerelle laterali e chiamato a realizzare grandiosi effetti stereofonici, ha mantenuto luminosità e limpidezza anche nei momenti di massima potenza, mentre l'orchestra ha esibito un suono pieno, morbido e colorato, perfetta sia nei passaggi più intricati come in quelli di delicatezza cameristica. Alle ampie pennellate e alle tinte dense e pastose della vecchia scuola wagneriana Myung-Whun Chung ha sostituito il pennello sottile e i colori smaltati del miniaturista, ottenendo una precisione di dettagli e una perfezione di rapporti tra orchestra e palcoscenico difficilmente realizzabili in una normale esecuzione teatrale. E la sua imperturbabilità orientale, che certe volte assomiglia molto alla freddezza, si è sciolta in momenti di delicata emozione e di tesa drammaticità.

Note: esecuzione in forma semiscenica

Interpreti: Magee, Lang, Gentile, Roth, Tschammer, Azesberger, von Duisburg, Tonsini, Serraiocco, Zanichelli

Regia: Daniele Abbado

Scene: Gianni Carluccio

Costumi: Nanà Cecchi

Orchestra: Accademia Nazionale di Santa Cecilia

Direttore: Myung-Whun Chung

Coro: Accademia Nazionale di Santa Cecilia

Maestro Coro: Filippo Maria Bressan

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