Con Michela Murgia

diario del 16 luglio

Recensione
jazz
A Stintino con Bojan Z e Michela Murgia eravamo su tre barche diverse davanti al porticciolo. Non poteva essere diverso in quel luogo di mare bellissimo e suggestivo. Aveva un senso con un mare così bello suonare in una piazza e per giunta piccola? All’origine lo spettacolo doveva essere “Melòdia – La sfida dei principi trombettieri” di e con Stefano Benni con il mio accompagnamento di tromba, flicorno, multieffetti e computer ma poi Stefano si è ammalato e ci siamo dovuti inventare altro. Peccato. Bojan ha suonato con me la notte prima al Pozzo Gal di s’Ingurtosu e ieri era libero. Fortunatamente era libera anche Michela Murgia, la scrittrice di “Accabbadora” che ha vinto il Campiello, e anche lei era libera e felice di dividere la barca con noi anche se non le avevano detto che doveva leggere sé stessa su una barca dove entrava anche un po’ d’acqua.
Presto fatto dunque. Appuntamento a Stintino alle 18, una breve prova dei suoni sulle tre barche e una lettura dei testi al bar davanti a un drink. Michela leggerà un testo sull’incongruenza del linguaggio nel nostro Paese e nella lingua sarda e poi un altro che parla di vita, di gente e di bambini a Cabras che è il suo paese. Il paese della bottarga, della vernaccia, dei “is fassonis”, del muggine e delle feste. Noi inizieremo in duo con “Groznjan Blue”, Michela leggerà il primo testo e poi ci alterneremo con testo e musica acquatica dal sapore etnico come “Ton Kotz”, “Bulgarska Waltz” ed altri. La missione di ieri sembrava impossibile. Perché il concerto si doveva tenere nella piccola Piazzetta Berlinguer che non era assolutamente in grado di ospitare tutta la gente che sta venendo ai concerti di ”!50” e perché non potevo fare lo spettacolo con Benni.
Alla fine l’idea della Marina e delle barche. Idea perfettamente allineata con la filosofia di “!50”, ancora una volta “l’impossibile possibile”, come recita lo slogan in bella vista sulla nostra macchina sponsorizzata dalla Secauto di Cagliari e tutto d’un tratto ci siamo trovati su tre barche diverse a suonare e a leggere Michela Murgia con tanto di cavi, luci al Led, pianoforte Fender con amplificatore e monitor. Noi sulle barche e 2500 persone sparse dappertutto. Persone di tutti i ceti e di tutte le età. Bojan era perfettamente a suo agio sul peschereccio dal quale dominava le nostre postazioni. Il pianoforte elettrico Fender era stato disposto al centro per evitare che il peso fosse distribuito male ed io e Michela eravamo seduti centralmente sulle nostre rispettive barche e al momento opportuno ci alzavamo per dialogare meglio. Dietro di noi una luna piena che, come la sera prima a Ingurtosu, sembrava ordinata apposta. Michela ha un viso che rassicura. Nonostante sia giovane sembra una di quelle donne sarde alle quali affideresti tutto. Io le ho affidato il reading di ieri sera a Stintino certo che ci saremo capiti al volo ed è stato così.
Sembrava che ci conoscessimo da sempre. Ha addirittura scritto il testo del bis a cena e nonostante il poco tempo per le prove sembrava che avessimo lavorato assieme chissà da quanto. La sua scrittura è veloce, acuta, intelligente e la sua lettura è asciutta come la Sardegna e la sua gente. L’altra sera ci siamo incontrati in un bar di Gavoi e lei ha attaccato a raccontare cose sull’originale declinazione temporale dei verbi in Sardegna e ci stavamo sbellicando dal ridere. Tutta la filosofia della ‘verbalizzazione’ (quasi anglosassone) è racchiusa in “Oh bambino grasso, a soffiare la sabbia a casinu!”. Modo tipico e conciso, nella spiaggia del Poetto a Cagliari, di dire al bambino in costume da mare che è meglio che si allontani che non ne puoi più di ricevere addosso un sacco di sabbia che già tira un po’ di maestrale e tu stai riposando o leggendo il giornale e ti sta dando fastidio ormai da molto che lui stia giocando con la sabbia che ti va negli occhi e sull’asciugamano o sull’Unione Sarda che stai tentando di leggere e che se non la finisce, il bambino grasso che magari non è grasso, lo butti in acqua e lo lasci lì piangendo che poi "viene tua mamma a tirarti fuori" nel bagnasciuga.

Mi piacciono i sardi che sanno ridere di sé stessi perché è vero che siamo a volte troppo seriosi ma è perché lo diventiamo quando non parliamo nella nostra lingua che è ricca in quanto abbreviata e concisa. Alla Michela Murgia insomma. Passato, trapassato, gerundio... Tutto utile per dire con tre parole al posto di dieci. “Oh bambino grasso, a soffiare la sabbia a casinu!”. Hai capito? “Capito hai?” meglio ancora. Alla fine con Michela ci siamo salutati e le ho detto grazie. “Grazie a te” mi ha risposto con gli occhi che ridono. Racconta che quando ha vinto il Campiello i "continentali" le dicevano “complimenti per quanto sei brava”. Di ritorno nell’Isola i sardi le hanno detto semplicemente “Grazie!”.

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