Biennale 1: Dagli elicotteri a Schubert

I Leoni e il pubblico giovane

Recensione
classica
È un cielo grigio, senza dubbio appartenente alla collezione autunno/inverno di un Lido di Venezia livido e quasi immobile, quello che accoglie la Biennale Musica 2013. E non è solo un’annotazione di colore, dal momento che per l’evento d’apertura tutti gli occhi sono puntati proprio verso quel cielo, che vede protagonisti gli elicotteri del famigerato quartetto di Stockhausen. Il pubblico dalle vetrate del palazzo del cinema osserva il piazzale da dove il tutto prenderà il volo con un bel po’ di ritardo – l’alto tasso tecnologico dell’evento è spesso foriero di piccoli e grandi imprevisti – per poi accomodarsi nella Sala che abitualmente vede sfilare le star del cinema per applaudire la "partenza" dell’Arditti Quartet, formazione per cui questo lavoro è stato scritto agli inizi degli anni Novanta. Le regole sono note: ogni membro del quartetto in un elicottero e via nel cielo a dialogare con il rombo dei rotori, ripresi da piccole telecamere che riportano in sala i gesti confricanti degli strumenti e i volti attenti degli esecutori, deformati solo ogni tanto da qualche intervento vocale. Tutta la confezione è sulla carta molto emozionante, non altrettanto si può dire dell’esito: nell’elaborazione del suono di questa esecuzione veneziana i rumori degli elicotteri restano un po’ sullo sfondo, rendendo meno facile seguire le piccole variazioni di frequenza che i piloti fanno fare alle pale con alcune manovre e lasciando il "proscenio" sonoro alla partitura per archi, in sé un po’ noiosa. Passata l’emozione del decollo degli eroi, anche la staticità delle riprese video – quelle "esterne" catturano gli elicotteri solo in lontananza – contribuisce a un po’ di monotonia complessiva, ma gli applausi per Arditti e soci, compresi i divertiti piloti, sono comunque generosi e meritati.

Si torna a Venezia, alle Tese dell’Arsenale, per la consegna dei Leoni d’Oro e il concerto serale. Con una cerimonia asciutta – il presidente Baratta ricorda in apertura le vittime del tragico naufragio di Lampedusa – vengono premiate la Fondazione Spinola-Banna e una emozionata Sofia Gubaidulina, che il pubblico e l’orchestra ricoprono di affetto. Per celebrare la compositrice russa viene scelto lo spettacolare Glorious Percussion, un lavoro del 2008 che esalta le acrobazie di cinque solisti delle Percussions de Strasbourg. Non uno dei lavori più rappresentativi della Gubaidulina, mi sembra: la tessitura orchestrale è un po’ enfatica e ricca di richiami alla tradizione russa – Shostakovich su tutti – ma ben controllata da un entusiasta John Axelrod. Più piatta l’esecuzione della Sinfonia n. 3 di Lutoslawski: sebbene l’Orchestra della Fenice si muova con diligenza, non sembra avere nelle mani (e direi nel cuore) questo tipo di lavori e il tutto risulta privo della dovuta trasparenza e colore.

Ancora Quartetto Arditti nel pomeriggio del sabato, questa volta seduti sulle più prosaiche sedie della Sala delle Colonne. Nel programma spicca la bellezza e la freschezza – nonostante il compositore fosse più che ottantenne quando la scrisse – del Quartetto n. 5 di Elliott Carter, davvero splendido. Per il resto, se Fletch della brava Rebecca Saunders – che avevo già ascoltato a Huddersfield lo scorso novembre – conferma l’originale cifra stilistica della musicista inglese, piuttosto deludenti mi sembrano i lavori del cipriota Sammoutis e di Andrea Portera. Età media del pubblico davvero bassa, grazie alla massiccia presenza (anche all’incontro con la Gubaidulina e all’evento con gli elicotteri) di classi delle elementari e medie: è frutto del meritorio lavoro che la Biennale sta facendo a livello di formazione, ma forse, osservando le facce annoiate e distratte dei ragazzini – pur mediamente disciplinati – durante il concerto dell’Arditti, viene da chiedersi se non sia un po’ presto, specie per i più piccolini. Ragazzini nel pubblico, ma anche protagonisti, come nel coro di voci bianche nel nuovo lavoro di Claudio Ambrosini, Fonofania. Il compositore veneziano si dimostra come al solito raffinato e mai banale nella costruzione di questo breve lavoro, dove a una prima parte affidata alla sola orchestra si aggiunge poi il coro in una sorta di articolazione delle prime sillabe e parole che un bambino pronuncia. La mia posizione di ascoltatore, abbastanza prossima all’orchestra (ma anche altri spettatori mi hanno confermato l’impressione) mi rende però difficile il pieno apprezzamento della parte vocale, dal momento che il coro è posizionato in alto, sopra la gradinata alle spalle del pubblico. Peccato. Prima e dopo Ambrosini, nel programma del concerto affidato all’Orchestra del Comunale di Bologna ben diretta da Roberto Abbado, due lavori di Luciano Berio, autore cui il direttore del Festival, Ivan Fedele, riserva particolare attenzione quest’anno. Epiphanies, nella sua versione definitiva con gli interventi vocali posizionati secondo un ordine prestabilito, non è tra le cose più memorabili del compositore, ma vive di una grande cura orchestrale e della bella prova della soprano Valentina Coladonato, sebbene anch’essa un po’ limitata dal bilanciamento complessivo dei volumi. Rendering, con la sua "ricostruzione" dell’incompiuta sinfonia schubertiana D936a, è un "gioco" lieve che il pubblico accoglie come un venticello tiepido e profumato. Peccato che fuori faccia invece un freddo inatteso…

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