Bartók, dittico meraviglioso
Esito superlativo per il Mandarino e il Barbablù al Maggio Musicale Fiorentino

Recensione
classica
La sfortuna sembrava essersi accanita sul dittico bartokiano del settantacinquesimo Maggio Musicale Fiorentino in coproduzione con il Saito Kinen Festival: la malattia di Ozawa, il distacco di una parte dell’intonaco dell’arco scenico che ha imposto la cancellazione della prima di giovedì. Ma poi, quando questo Mandarino Meraviglioso e questo Castello di Barbablù sono andati in scena ieri, il risultato era di una qualità che davvero non si vede tutti i giorni. L’abbagliante regia-coreografia di Jo Kanamori ha unito con sicurezza di segno e straordinaria forza comunicativa i due pannelli: le grigie, spettrali presenze di Maggiodanza che circondavano i protagonisti, in due diverse chiavi visuali, fra bagliori di teatro espressionista e sgargiante Medioevo giapponese nel Mandarino, in alternanze fra buio e una luce indimenticabile di paesaggi ed evocazioni illusorie nel Castello, con alcuni momenti di un’emozione percuotente: l’ingresso del Mandarino, la sua impiccagione, nel Castello il racconto di un demoniaco Cantastorie, Andras Palerdi, l’evocazione delle mogli. Tutto sorretto da un codice gestuale e coreografico di rara perfezione, ma anche di straordinaria intensità. Nella prima parte è d’obbligo citare i due straordinari danzatori protagonisti, il Mandarino e la Ragazza, Satoshi Nakagawa e Sawako Iseki, il Castello aveva un punto di forza nella visione tragica e insieme profondamente interiore di Matthias Goerne, Barbablù, e nel pathos sorretto da una forte e fresca vocalità di Daveda Karanas, Judit. Zsolt Hamar ha tenuto con sicurezza il podio ottenendo un’eccellente prestazione dell’Orchestra del Maggio. Applausi caldi e prolungati come non ne sentivamo da tempo.
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