"Attila" ha preso la Bastiglia

Attila ha preso la Bastiglia. Finalmente, l'opera verdiana è entrata nel repertorio dell'Opéra di Parigi. Fischi rivolti alle due registe, alle prime armi, (anche per loro ammissione) nel mondo del melodramma, fischi pure per Franco Farinae per il direttore Pinchas Steinberg, mentre due vere stelle hanno brillato: Samuel Ramey e Maria Guleghina.

Recensione
classica
Opéra National de Paris Parigi
Giuseppe Verdi
21 Settembre 2001
"Attila" ha preso la Bastiglia. Finalmente, l'opera verdiana è entrata nel repertorio dell'Opéra di Parigi. Creata per la prima volta a Firenze nel marzo 1846, Verdi la considerava adattissima per la scena del primo teatro parigino per il quale era pronto a farne un adattamento in francese, ben prima di "Jérusalem". Eppure ci sono voluti un secolo e mezzo e il centenario della morte del compositore per decidere la direzione a mettere in scena uno dei melodrammi di Verdi, per scelte drammaturgiche, tra i più "francesi". Ma si è voluto giocare al sicuro ed si è puntato su due dive del piccolo e grande schermo per la regia: Josée Dayan e Jeanne Moreau. Volti e nomi notissimi almeno in Francia: se la Moreau non ha bisogno di presentazioni, Josée Dayan vanta, grazie a serie televisive fortunatissime come "Il conte di Montecristo" con Gérard Depardieu, non minore popolarità. Che il tandem Dayan-Moreau abbia richiamato all'opera chi solitamente varca solo la soglia del cinema? Improbabile. Forse un'operazione del genere sarebbe riuscita con "La traviata" ma non con "Attila", titolo oscuro ai più. In compenso, il pubblico dei melomani ha inondato il teatro di fischi rivolti alle due registe, alle prime armi (anche per loro ammissione) nel mondo del melodramma. Non sono piaciute scelte abbastanza previdibili e "descrittive": alberi che bruciano sul palcoscenico, mentre il libretto ne dà conto, può essere difficilmente accettato da un pubblico avvezzo alle stilizzazioni e alle regie del tutto rarefatte. I parigini hanno temuto di ritrovarsi di colpo negli allestimenti di carta pesta, stile anni Cinquanta. Se il parterre, dove brillavano teste di ministri e di personaggi del mondo spettacolo, ha finto di appluadire, le contestazioni vivaci sono esplose dai piani alti del teatro. Fischi pure per Franco Farina, che purtroppo ha fatto sfoggio di gravi problemi di intonazione e di volgari effetti "caccia-applauso", mal tollerati in un teatro come Bastille. Non è stata invece contestata, come l'avrebbe meritato, la direzione di Pinchas Steinberg: gesto non netto, naso sempre nella partitura, il direttore israeliano ha lasciato spesso il coro senza indicazioni e risolto goffamente alcune pagine strumentalmente finissime. Comunque, due vere stelle hanno brillato Samuel Ramey e Maria Guleghina. Il soprano, se non può contare su un bel timbro, ha però una tecnica sicura e uno stile ineccepibile. Un vero trionfo, poi, per il basso, vocalmente e attorialmente a suo agio nei panni del temibile unno.

Interpreti: Ramey, Guelfi , Guleghina, Farina, Arsenski, Matioukhine

Regia: Josée Dayan e Jeanne Moreau

Scene: Philippe Miesch

Costumi: Patrice Cauchetier

Orchestra: Orchestra dell'Opéra National de Paris

Direttore: Pinchas Steinberg

Coro: Coro dell'Opéra National de Paris

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Napoli: per il Maggio della Musica

classica

Nuova opera sul dramma dell’emigrazione

classica

Al Theater Basel L’incoronazione di Poppea di Monteverdi e il Requiem di Mozart in versione scenica