Andersen a Carloforte

diario del 28 giugno

Recensione
jazz
A Portoscuso ci arriviamo passando per Samassi, Serramanna, Vallermosa e Iglesias. Il traghetto della Saremar partirà alle 14 e noi lo vediamo già ormeggiato nel piccolo porto che a quell’ora sembra essere deserto. C’è un unico edificio sulla destra che funge da biglietteria, ristorante e bar e da questo proviene un buon profumo di cibo. Chiediamo a che ora è il traghetto successivo e ci sediamo a tavola davanti al mare con una birra Ichnusa, un petto di pollo e un’insalata verde. Del resto perché sbarcare a Carloforte alle 14.30 sotto il solleone? Il concerto in duo con Arild Andersen oggi si terrà alle 19.30 nel Giardino di Note che è un boschetto posto sopra la cittadina genovese e che, al nostro arrivo, intorno alle 16, sembra ancora dormire. È difficile a quell’ora trovare un bar aperto e gli unici luoghi abitati sembrano essere le bancarelle dei senegalesi che vendono di tutto, compresi dei bei cappelli in paglia che risultano utilissimi.

Anche nel traghetto tutti dormono. Saremo una ventina più quelli del personale. Scopro che c’è anche il sindaco Agostino Stefanelli che si presenta e mi chiede come mai abbiamo deciso di fare il concerto alle 19.30 e in quel posto invece che in una normale piazza della cittadina. Gli spiego tutto e lui è perplesso, convinto che non verrà nessuno ma gli dico di stare tranquillo. All’attracco nell’Isola di San Pietro ci attendono Marthe Le More e Antonio Cauterucci con la telecamera. Roberto Perisi mi invita ad affacciarmi sul ponte affinché loro possano filmare l’arrivo e quando sbarchiamo a piedi il ponte levatoio è bollente come il viso di Arild che, da buon scandinavo, si tinge di rosso e la cosa mi preoccupa. Mi sto chiedendo come sia l’escursione termica tra Oslo e Carloforte e quale sia l’escursione visiva tra i due luoghi. Tra Europa e Africa perché in Africa siamo. Marthe parla con il senegalese che vende cappelli e lui le dice in francese che stare lì gli piace perché è come essere in Senegal. La notte lo incontriamo nel traghetto con il quale rientriamo e ha un furgone bianco scassato con scritto “Dakar Tour”. Ci sorride e si mette a dormire in cabina con i piedi che escono dal finistrino perché come tutti i senegalesi è lungo e non ci sta.

Lo spazio del concerto, visto così e a quell’ora, sembra abbastanza improbabile ma so che quando tutto è pronto e quando la gente arriva il miracolo avviene ancora una volta. È troppo caldo nonostante gli alberi. Con Arild decidiamo di andare in un luogo fresco per leggere la musica ma in tutta la passeggiata davanti al porto stentiamo a trovare un luogo aperto e alla fine ci impossessiamo di un tavolino di un ristorante chiuso come tutti gli altri luoghi. L’idea è di suonare solo la sua musica. Il primo e unico concerto in duo fu fatto nel giugno del 2007 a Lerici in seno al festival Mondo Mare e da allora abbiamo fatto solo un tour in Grecia con il pianista Vangelis Katsoulis. In quella occasione suonammo alcuni pezzi suoi e io ho conservato la cartellina con tutto e lui è abbastanza impressionato. Gli spiego che dovendo suonare per 50 giorni con 50 gruppi diversi ho dovuto organizzare una grande valigia con le partiture di tutti i repertori e che questa viaggia con me e pesa 50 chili. Dentro c’era anche la cartellina con le sue parti e con appuntato in rosso “Arild Andersen – Lerici”. Le prove sono verbali. Leggiamo a prima vista i brani cantandoli come si faceva al Conservatorio durante le lezioni di Solfeggio Cantato e in alcuni casi ci aiutiamo con le mani battendo a tempo sul tavolo. Le poche persone che passano con l’ombrellone ci prendono per matti: un sardo tutto nero e un norvegese tutto bianco che cantano assieme al Bar… Il primo brano sarà “Dreamhorse”, poi suoneremo “Commander Smuck’s air flap hat” e poi un brano tradizionale yemenita che Arild ha riarrangiato. Si intitola “Ilama Ilama”. La scaletta è pronta solo in parte perché lo svolgimento del concerto decidiamo di lasciarlo al feeling della serata. Dipenderà dal luogo, dal suono e dalla gente ma sappiamo che chiuderemo con un brano tradizionale norvegese in 12/8 dal titolo “Gardsjenta” che sa anche di Sardegna e di Ballu tundu. In realtà suoneremo anche l’ipnotico “Hiperborean” dedicato a quel mare e “The desert song” dei Gentleforce che lancio dal computer. Alle 19 il bosco inizia a riempirsi di gente e alle 19.30 siamo in tanti. Oggi il gazebo del Merchandising di Antonio e Carla e il Carro delle Energie di Tommaso e Irene sono posizionati proprio all’ingresso del giardino. Alla fine Antonio mi dice che ha venduto bene e che le magliette della Cooperativa CHV di Mantova vanno ristampate. Anche Tommaso Onofri mi dice che molti sono andati a comprare il suo libro “Ho inventato l’acqua calda” in cui spiega quale è per lui la rivoluzione energetica. “Quando lo annunci bene la gente viene subito” mi dice e so che è così anche per le magliette. La cosa bella è che quando leggo il lungo elenco dei ringraziamenti il pubblico applaude sempre quando si parla di energia, della Cooperativa dei disabili o diversamente abili di Mantova, di Amnesty International che compie 50 anni di vita come me. E’ come che ci siano delle cose condivise da tutti indistintamente e questo fa ben sperare per il futuro e per quello dei nostri figli e nipoti. Chissà… Dal Giardino di Note si vede il mare blu dove si ancora si pescano i tonni. Dietro questo le ciminiere del polo industriale di Portovesme che svettano in terra ferma. Pare che da quelle parti le pecore perdano i denti, si spezzino loro le gambe e che gli agnelli crescano deformi. L'istituto zooprofilattico ha certificato una patologia che va sotto il nome di fluorosi cronica. Una forma di tumore che colpisce le ossa e che nel tempo impedisce agli animali di cibarsi. Pare anche che nei campi, da quella parte del mare, l'uva e gli ortaggi si presentino alle analisi chimicamente modificati e dunque inutili per il raccolto. Sono i risultati, trasferiti alla terra, dell'inquinamento ambientale.

I tonni di Carloforte invece vanno in Giappone e poi ritornano indietro già lavorati. Fortuna che nel Ristorante “Al Tonno di Corsa” si è a chilometro zero. Ce lo spiega Secondo Borghero, ambasciatore della cucina carlofortina. Ce lo spiega mentre ci porta un lungo piatto con tonno di corsa all’olio d’oliva locale, musciame di tonno, tonno affumicato, cuore di tonno essiccato che è nero scuro e “coppunadda” con la galletta di pane. Poi arrivano i cassuli, una pasta a forma di gnocchi, e il “cashcà” di derivazione tunisina che è un kuskus aromatico con legumi e verdure fresche. «Ma perché tonno di corsa?» chiedo a Secondo. Mi spiega che il "tonno di corsa" è quello che viene catturato tra maggio e giugno durante il passaggio a Nord dell’Isola con ancora l’antico metodo della tonnara e mi fa vedere alcune foto affisse nel suo ristorante. «Il nostro ristorante di tutto ciò ne è diventato testimone e protagonista» mi dice con orgoglio.

Il traghetto della Decomar parte a mezzanotte per Calasetta e non possiamo perderlo. Guadagniamo a piedi il porto passando nei tipici “carruggi” delle “cassinee” e arriviamo davanti al traghetto qualche minuto prima della sua partenza. Il signore che vi lavora ci chiede se siamo tutti residenti in Sardegna ma poi guarda Arild Andersen e chiede il pagamento di un supplemento perché sardo non è di certo. Chiedo come funziona il meccanismo e mi dice che ci sono tariffe speciali per i carlofortini, altre per “i sardi” e altre per i non sardi. Quelli semplicemente altri per intenderci. Ma mi dice anche che l’altra compagnia fa solo tariffe che si dividono tra carlofortini e altri in cui rientrano anche i sardi. Vabbe'. È troppo tardi per capire. Entriamo in traghetto stavolta verso Calasetta che sta sull’altra Isola che è quella di Sant’Antioco dove il 28 luglio porteremo i macedoni della Kocani Orkestar e Antonello Salis. Pochi anche stavolta sul traghetto. La maggior parte erano al nostro concerto e stiamo sul ponte a chiacchierare e a godere il fresco di una serata magnifica. Sono di Monaco di Baviera e di Parigi. Una signora è venuta apposta da San Teodoro che è lontano. Altri sono di Cagliari. Arild è seduto da una parte e medita sul fatto che deve raggiungere Cagliari e alzarsi alle 7 del mattino. Roberto lo guarda. «La tipica flemma anglosassone» dice. Poi si addormenta.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

jazz

La rassegna You Must Believe In Spring con Steve Lehman Sélébéyone, Mariasole De Pascali Fera e Tell Kujira

jazz

Si chiude l'ottima edizione 2024 del Torino Jazz Festival

jazz

Usato sicuro e un tocco british per il quarantunesimo Cully Jazz