Anagoor: omaggio a Rameau

Les Incas du Pérou alla Sagra Malatestiana

Les Incas du Pérou
Les Incas du Pérou
Recensione
classica
Teatro Galli, Rimini
Les Incas du Pérou
12 Ottobre 2022

Come resistere alla tentazione di non mancare alla messa in scena, ingegnosa, de “Les Incas du Pérou” di Rameau, alla 73° edizione della Sagra Malatestiana, che ci ha fatto conoscere il formidabile gruppo creativo di Anagoor? Che nel 2013, al Teatro Galli di Rimini (allora in cenere ed ori decaduti, oggi fiammante) aveva riesumato, gloriosamente, il “Palazzo d’Atlante”, di Luigi Rossi, sempre sotto la vigile e colta tutela critica di Alessandro Taverna. Che in quest’occasione, nel programma di sala, scomoda uno spettatore entusiasta e di rango, quale Voltaire, appena reduce dalle “Indie galanti”, di quell’allora discusso Rameau (con cui il filosofo illuminista avrebbe addirittura congeniato un’opera lirica). Già sedotto da un opera classica e in coturno, come ‘Hyppolite et Aricie’, Voltaire lo onora con questa galante coccarda: “Mi piacciono le persone che sanno abbandonare il sublime per badiner”. Divertirsi, in modo elegante, intelligentemente frivola: galante (come testimonia la celebre ‘Badinerie’ di Bach).

Rousseau invece (operista lui stesso, appunto con le ‘Muse Galanti’) e teorico della musica, come Rameau, era difensore dell’opera italiana “sentimentale”, mentre le arie francesi gli “paiono attacchi di mal di pancia”. E dunque non tollera il compositore di “Platée”, che al seguito di Lully, ha fondato le radici dell’opera francese, screditata dagli illuministi dell’Encyclopédie, che considerano le arie liriche: “un lusso evanescente”. Taverna cita Lévy-Strauss (“Rameau, con la teoria degli accordi, precorre l’analisi strutturale”), Sade, sedotto dal fascino abissale del vulcano sterminatore, e molto il “Morbo di Rameau” di Giovanni Morelli (con cui origina il ‘veleno’ della critica). In realtà, la contesa tra Voltaire e Rousseau (il teorico del “buon selvaggio”) scoppia durante il terremoto di Lisbona, che ha anche un ruolo di “macchina barocca”, nel fuoco tragico in questo “Incas del Perù”. Che è un “frammento separabile”, all’interno del “Ballet Eroique” delle “Indie galanti”, 1735 (gli anni della contesa con la Polonia).

Dopo il prologo guerresco con Bellona, e il primo atto del “Turco Generoso” (fonte di turcherie, per Mozart e Rossini), prima dei “Fiori”, animati, in cui un imperatore “selvaggio” compariva travestito da donna (con mormorii del pubblico della corte), ecco la sequenza “modulare” degli Incas, qui elaborati da Anagoor. Un Conquistatore feroce, che sorge dal mare nudo, come Ulisse di fronte a Nausicaa e che parla di sé in terza persona, come Giulio Cesare. Pahni, la donna che tradisce il suo popolo, per consentire alle nozze fedifraghe con l’occupante, di cui è totalmente innamorata. Il buon (?) selvaggio Huascar, sacerdote del Sole, che pur di ottenere Pahni, è ridotto a fingere un finto miracolo. Gettando pietre preziose nel vulcano, che lo annienterà (un espediente che arriverà sino al Mark Twain di “Un americano alla corte di Re Artù”). Nessuno, moralmente, si salva. Magnifico il libretto ‘raciniano’ di Louis Fuzelier, misterioso personaggio in contatto con Madame Pompadour, gettato in carcere per un epigramma e tradotto dal nostro Frugoni, quando le “Indie Galanti” arrivano a Parma, nel 1757. Poi, anche in Francia, scende il sipario sul compositore: ci vogliono, a riesumarlo, D’Indy, Dukas, e soprattutto Debussy, che compone un “Hommage à Rameau”, e urla: “Viva Rameau, abbasso Gluck!”. Pahni è una classica “femme savant” newtoniana, che parla in aforismi e si scaglia contro i miracoli, le ingiustizie, le imposture della fede. Così nel libretto si allude al libertinaggio, alle prigioni dell’amore, alla sensiblerie russoviana della nascente dell’estetica erotica, investendo ambiguamente il problema nodale della “sauvagerie”.

Non è un caso che in un periodo di guerra, Anagoor di Simone Derai e molti C., ritorni a questo “problema dell’Altro” (Todorov). Come osservava Rousseau (citato, quale exergue, in una poesia di Magrelli): non bisogna chiudersi in un loculo teatrale (qui tra l’altro trafitto da specchi ustori) ma uscire verso le feste liberatorie (che preluderanno alle feste rivoluzionarie). Il ‘giorgionesco” gruppo di Castelfranco Veneto affida, cinematograficamente, questa festa del Sole a un esultante gruppo di emigrati peruviani, che simulano ‘la Storia’ delle Indie Galanti, tra mais transgenico e lama importati. Natura e artifizio: con uno schermo, un velario mobile, che mostra i piedi dei servi di scena, che affiorano sulla scena: straniamento brechtiano. Via il vulcano: semmai una nera neve di ardesia. E l’Oro, dovunque: “dio senza senso”. Un vero “correlativo oggettivo”, come nella poesia eliotiana. O come nel kabuki: con le figure festose, doppiate dalle magnifiche voci di Ekaterina Protsenko (nella sua voce si sente l’eco delle masterclass con Cotrubas, Obraztsova e Kasarova!), il mirabile timbro corrusco di Renato Dolcini (allievo di Cecilia Bartoli, molti Caldara, Luigi Rossi o Cavallo nel suo repertorio), il sensibile Nicolas Scott (già entrato nelle grazie de Les Arts Florissantes e Les Talents Lyriques, per Monteverdi, Campra, Lully), alle prese di un ruolo delicato di haute-contre. Direttore ideale per questo repertorio, Giulio Prandi ha fatto brillare la Filarmonica Arturo Toscanini di Parma e il coro del Collegio Ghislieri di Pavia.              

 

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