Alla scoperta dell'opera barocca

Michele Vannelli propone il Giosuè di Bononcini per l’annuale incontro con l’opera barocca della rassegna Corti Chiese e Cortili

opera barocca giosue
Foto di Luca Nicoli 
Recensione
classica
Zola Predosa (BO) - Palazzo Albergati
Giosuè
11 Settembre 2020

L’opera del Seicento che ogni anno Michele Vannelli propone con la sua Cappella musicale di San Petronio è ormai l’appuntamento di eccellenza più atteso nella rassegna Corti Chiese e Cortili diretta da Enrico Bernardi, che si snoda durante tutta l’estate fra luoghi storici e suggestivi della provincia bolognese (il consolidato connubio con il festival Grandezze & Meraviglie di Enrico Bellei, consente poi una replica più che opportuna dell’evento a Modena).

La contingenza sanitaria ha nondimeno costretto al cambio della formula consolidata: niente corso di formazione per giovani cantanti barocchi, da cui trarre gli interpreti vocali, niente coro e niente produzione scenica. Dopo Monteverdi (Poppea e Ulisse), Bononcini (Camilla), Mazzocchi (Adone), arriva dunque quest’anno l’oratorio, affidato a interpreti professionisti. Celebrandosi il 350° anniversario della nascita di Giovanni Bononcini (Modena 1670 - Vienna 1747), la scelta è caduta sul suo Giosuè (1688), proposto nell’edizione critica di Matteo Giannelli. Cornice privilegiata dell’esecuzione è sempre il salone nobile di Palazzo Albergati a Zola Predosa, la residenza estiva del celebre commediografo aristocratico in cui furono ospitati a turno i regnanti di mezza Europa.

Scritta a soli 18 anni, la partitura è ricca d’inventiva, espressione di quelle soluzioni formali varie e fantasiose che le “regolarizzazioni” compositive d’inizio Settecento andranno man mano a soffocare. Ed è stupefacente la ricchezza di soluzioni ottenuta attraverso la combinazione di mezzi musicali pur ristretti.

Di alto livello il quintetto dei cantanti. Protagonista è il controtenore Enrico Torre (Giosuè), voce gradevole e ben impostata, dal quale si vorrebbe soltanto meno rigidezza esecutiva e maggior espressività. Suo contraltare è il soprano Valentina Coladonato (Regina d’Hebron), che con voce rigogliosa e gestualità intensa introduce un’efficace dimensione scenico-drammatica nella staticità oratoriale, in una parte che ha già di per sé connotati operistici. 

Libero quest’anno dall’impegno come regista, Alberto Allegrezza (Re d’Hebron) recupera la sua squillante voce di tenore, facendo un capolavoro esecutivo della perla musicale della partitura (l’aria «Deh l’armi lasciate»). Voce potente e ben governata quella di Gabriele Lombardi (Re di Gierusalem), alle prese con una tipica parte d’ambito baritonale spinta di frequente verso note da basso profondo. Il soprano Sonia Tedla Chebreab affronta la parte narrativa del Testo con quel distacco emotivo e chiarezza di dizione che il ruolo richiede.

Il plauso maggiore va come sempre alla concertazione precisissima perseguita da Michele Vannelli e al rigore dell’Orchestra della Cappella musicale di S. Petronio, da cui emerge per il grande impegno e l’evidenza sonora il violoncellista Nicola Paoli (la parte fu all’epoca assunta verosimilmente da Bononcini stesso): in un epoca in cui pullulano ormai anche in Italia i sedicenti complessi barocchi, che confondono l’impugnatura dell’arco con la pertinenza stilistica e le sbavature ritmiche per inégalité esecutiva, la perfezione sonora di questo ensemble strumentale è esemplare, a cominciare dall’intonazione assolutamente impeccabile.

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