Alla Monnaie Tosca tra Scarpia e Pasolini

Nuovo allestimento del regista spagnolo Rafael R. Villalobos

Tosca
Tosca
Recensione
classica
La Monnaie, Bruxelles
Tosca
05 Giugno 2021 - 02 Luglio 2021

Un’elegante fredda Tosca, malgrado le scene ispirate a «Salò o le 120 giornate di Sodoma» di Pier Paolo Pasolini. La Monnaie riapre al pubblico con una versione dell’opera di Puccini che vuole avere come coprotagonisti anche Roma, città che il giovane regista spagnolo Rafael R. Villalobos conosce bene avendovi vissuto come artista residente alla Real Accademia di Spagna, e quel Pasolini che la città eterna indagava tra bellezze e bassezze. Pasolini è in scena, con la sua camicia bianca ed i suoi occhiali neri,  presenza muta ma interrogante, cacciato dal sagrestano come Satana, ed è presente attraverso le citazioni del suo film, sopratutto nel secondo atto, con i ragazzini nudi sopra e sotto il tavolo e e gli attrezzi sadomaso con cui Scarpia spera infine di potere godere con Tosca, la messa in scena di un decadimento morale che tocca il fondo in una stanza decorata con i bei dipinti di nudi del pittore Santiago Ydáñez riprodotti a dimensioni giganti, un atto che si conclude con una morte annunciata già nel Te Deum dove il vescovo è Tosca e quando si volta sul suo mantello si scopre un enorme teschio.  Senza dubbio il regista ha talento, anche se l’intreccio Tosca-Pasolini non è del tutto riuscito perché la passione che dovrebbe essere il filo conduttore dell’opera risulta infine come anestetizzata, lontana, sopratutto per la scelta delle scene e delle luci bianche da ospedale. Si è evitato il rischio volgarità... ma si è raffreddato troppo. L’impianto, unico per i tre atti, dell’architetto italiano Emanuele Sinisi, è ispirato all’Ossario garibaldino al Gianicolo, compresa la scritta “Roma O Morte” che compare al terzo atto, arricchito da una struttura circolare da gabbia e tante statue, pure tutte immacolate, è comunque bello e funzionale e tante le citazioni visive che lo arricchiscono, anche a Caravaggio.

Ma l’opera si avvia pure con una certa freddezza vocale, il “Recondita armonia” del tenore ceco Pavel Černoch arriva in platea debole e poco appassionato, l’ingresso di Floria Tosca interpretata dalla greca Myrtò Papatanasiu sembra riscaldarlo ed il suo “E lucevan le stelle” alla fine è dignitoso ma non tale da strappare un applauso. Come invece  è riuscita a fare la brava Papatanasiu dopo la sua “Vissi d’Arte”, il momento più toccante e coinvolgente dello spettacolo, desolata e accorata nell’interpretazione, di bella voce, sopratutto negli acuti pieni e nei pianissimo ben tenuti, dimostrazione di talento e tecnica già ben salda. Per inciso, il regista Villalobos che è anche il costumista, la fa entrare in chiesa con completo pantalone nero e cappello a falda larga, come la Callas in una famosa foto, mentre Cavaradossi sembra un impiegato di banca piuttosto che un pittore, e Scarpia il suo superiore in ufficio. E purtroppo il baritono francese Laurent Naouri non fa tremare né affascina nella parte, corretto ma niente di più. Disinvolto nel ruolo invece Riccardo Novaro, malgrado sia il suo debutto come sagrestano, ed i suoi pertichini non sono dal regista ben integrati. Il terzo atto è innanzitutto la messa in scena della morte di Pasolini, con i fari accesi di un’auto che s’intravedono dietro il velo a ricordare la vettura dell’assassino/i, e suggestivo anche il finale con quel fascio di luce verticale che già aveva caratterizzato il Te Deum del primo atto e verso cui adesso infine si avvia Tosca. Sul podio Alain Altinoglu guida un’orchestra per ragioni sanitarie più che dimezzata rispetto all’organico previsto da Puccini con un resa quindi inusuale, più intima, con i primi strumenti più in evidenza, ma anche con una lettura più lirica. Ed  anche il coro, sempre per ragioni sanitarie, non è in scena ma adempie nascosto con essenzialità la sua parte guidato da Alberto Moro. Da segnalare infine un secondo cast a forte caratterizzazione italiana con Tosca interpretata da Monica Zanettin e Mario Cavaradossi dal tenore Andrea Caré. 

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