Albe e tramonti ad Ancona

La stagione lirica delle Muse

Recensione
classica
Dopo quasi due anni di silenzio è tornata l’opera al teatro delle Muse di Ancona. Una mini stagione lirica (ma a questo eravamo già abituati) con due titoli, Bohème e Falstaff, all’interno del Festival d’autunno “Albe e tramonti”. Titolo che si riferisce, a detta del direttore artistico Barbieri, sia all’età dei protagonisti delle opere e dei loro rispettivi autori, sia a quella di alcuni giovani interpreti (allievi della Scuola di Musica di Fiesole) dei concerti che fanno da corollario alle opere. Una stagione un po’ sottotono, con dei posti vuoti in sala a differenza di quanto accadeva negli anni passati, e davvero questo non lo meritavano i due pregevoli allestimenti.

Bohème era una nuova produzione del teatro anconetano, che impegnava un cast di giovani cantanti tutti debuttanti nei rispettivi ruoli. Vi è spiccata la Musetta di Lavinia Bini, spigliata interprete del carattere capriccioso e volubile del personaggio, la Mimì di Grazia Doronzio, delicata e sognante, e la bella voce baritonale di Francesco Vultaggio nei panni di Marcello. Jenish Ysmanov è stato un Rodolfo appassionato ed espressivo, migliore come spesso accade alle voci tenorili nel registro grave e medio. Non sono mancate poi, nella regia di Nicola Berloffa, delle libere ma non fastidiose invenzioni rispetto al libretto, come l’apparizione in scena della moglie di Benoît armata di battipanni, che rafforza l’uscita di scena del personaggio, e soprattutto l’introduzione al caffè Momus di una ballerina che danza sulle note di una vecchia registrazione di Je cherche après Titine . Molto curata e funzionale la scenografia, con cambi di scena a vista, fluidi e d’effetto, realizzati anche grazie ai ponti mobili del palcoscenico.

Falstaff riprendeva il collaudato allestimento del 2013 della Trilogia d’autunno (singolare assonanza con il festival anconetano….) di Ravenna Festival dedicata a Verdi&Shakespeare e curata da Cristina Mazzavillani Muti, riproposto l’estate scorsa al Teatro Alighieri di Ravenna. Quasi identico anche il cast vocale, con due sole new entry (Federico Longhi come Ford e Giovanni Sebastiano Sala come Fenton) e identica la direzione di Nicola Paszkowski. Come si ricorderà, questo allestimento utilizzava come soggetti della scenografia scatti fotografici dei luoghi verdiani (Roncole, Sant’Agata, Busseto) proiettati sulla scena nuda e appena arricchita con semplici elementi per renderne la tridimensionalità. Molto belli gli effetti visivi, fluidissimi i cambi di scena, suggestivi i giochi di luce di Vincent Longuemare. La sicurezza dei cantanti ha espresso al meglio i meriti della regia, pensata davvero al servizio della musica e della vis comico-patetica del dramma, attraverso la gestualità dei personaggi, spesso coordinata con il ritmo musicale, e i bei quadri di insieme che hanno esaltato la bellezza della architettura polifonica. Ha dominato la scena il Falstaff del bulgaro Kiril Manolov, più volte nel corso della carriera interprete del ruolo, ma si sono distinte anche le quattro intepreti femminili, sia per la vocalità che per le doti di attrici. Entrambe le opere hanno impegnato le maestranze locali, la FORM, Orchestra Filarmonica Marchigiana e il Coro Lirico “Bellini”.

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