Ad Amsterdam va in scena la rivoluzione

All’Opera Forward Festival di Amsterdam prime assolute di Animal Farm di Alexander Raskatov, Perle Noire e Ändere die Welt!

Animal Farm (Foto Ruth Walz)
Animal Farm (Foto Ruth Walz)
Recensione
classica
Amsterdam, De Nationale Opera & Ballet
Opera Forward Festival 2023
03 Marzo 2023 - 12 Marzo 2023

Si parla molto di rivoluzione all’Opera Forward Festival 2023, l’isola contemporanea nella programmazione dell’Opera Nazionale Olandese di Amsterdam, giunta quest’anno alla settima edizione. Se ne parla, certo, ma quella che si respira non è la rivoluzione sulle barricate. A suo modo, il massimo teatro lirico olandese una rivoluzione almeno nella programmazione la fa: dedicare dieci giorni filati al teatro musicale contemporaneo con due prima assolute, Animal Farm del russo Alexander Raskatov e l’antologia Ändere die Welt, una prima europea, Perle Noir, oltre a performance e laboratori di studenti che si misurano per la prima volta con la pratica del palcoscenico. È il caso della performance Anima(ls) creata dal regista Gregory Caers con gli studenti della MBO Theaterschool di Rotterdam che invadono scaloni e foyer del Muziektheater mescolandosi, animalescamente ma in abito da sera, fra gli spettatori freschi di Animal Farm come in una vecchia performance del Living Theatre fuori tempo massimo. Immancabile ormai in ogni festival dedicato alle creazioni contemporanee l’esperienza di realtà aumentata, che in uno spazio appartato della seconda balconata del Muziektheater con Caves, nato dalla collaborazione fra il compositore e regista Alex Raúl e l’artista VR Bats Bronsveld, proietta lo spettatore in uno spazio primitivo nel quale un gruppo di misteriosi personaggi compie i propri riti serali. Lavoro suggestivo ma, come sempre al momento, la sua dimensione artistica è dominata da quella tecnologica.

La vera sfida per un grande teatro, però, non è tanto nel coraggio delle scelte di un programma completamente orientato alla creazione contemporanea, ma nel riuscire a riempire le sale con una sfilza di tutto esaurito e per di più con un pubblico davvero trasversale e apertissimo alle novità. La formula magica? La direttrice Sophie de Lint sembra averla trovata: soggetti che parlino alla sensibilità contemporanea, una musica che non rinunci a comunicare a un pubblico vasto evitando le banalizzazioni, cura estrema della dimensione produttiva. Insomma, se teatro musicale contemporaneo ha da essere, che non sia confinato nelle cantine o nelle scene minori aperte ai soliti pochi amatori del genere. E poi bisogna crederci e ad Amsterdam, a quanto pare, ci credono davvero.

Nella vecchia fattoria di Raskatov

Piatto forte dell’edizione annuale dell’Opera Forward Festival era Animal Farm, la nuova opera del russo Alexander Raskatov, che proprio a Amsterdam nel 2010 debuttava nel teatro musicale con la sua prima opera A Dog’s Heart. Comune l’ispirazione a un soggetto letterario: allora Mikhail Bulgakov, oggi George Orwell, ridotto a libretto (in inglese come l’originale) da Ian Burton con mano leggera e spirito.

La storia è nota. La scena è quella della fattoria di Mr. Jones, piuttosto negligente soprattutto con i suoi animali. L’anziano maiale Old Major ispira la rivolta degli animali della fattoria con la promessa di una vita migliore liberata dal giogo degli umani. Scoppia la rivoluzione sotto la guida dai maiali Snowball e Napoleon e gli animali finalmente liberati adottano sette comandamenti rifiutando i bipedi e le loro abitudini nella nuova società, dove “tutti gli animali sono uguali”. Presto i maiali prendono in mano il potere imponendo un regime di terrore. Napoleon fa fuori il rivale Snowball e diventa l’unico leader da venerare. I sette comandamenti vengono adattati per mascherare gli abusi del sistema. Nonostante la vita non sia troppo diversa da quella sotto gli umani, funziona a pieno regime la macchina di propaganda per convincere tutti che la situazione è migliorata. “The writer has a noble task: / The time remains without a mask”: è la conclusione amara nei versi di Burton, che chiudono le due ore dell’opera di Raskatov con la morale (che morale non è) come nel Rake’s Progress o nel Don Giovanni.

Se è vero che Orwell aveva in mente l’involuzione stalinista della rivoluzione bolscevica, è altrettanto vero che il suo apologo ha valore universale e indubbiamente ha una sua urgenza politica particolarmente oggi. L’interesse di Raskatov sembra però focalizzato quasi esclusivamente sulle miniature dell’articolato bestiario musicale, che si esprime sull’intera gamma delle possibilità vocali (umane) – dai grugniti profondi dei maiali su, su fino alle voci bianche dei pennuti, passando per le colorature stratosferiche della giumenta Molly e il gracchiare fra voce di petto e falsetto del corvo Blacky – su un sontuoso tappeto orchestrale dai colori eclettici e dalla deformazione grottesca, che allarga il vasto organico tradizionale a una selva di percussioni, al cymbalon e alle chitarre elettriche. La musica è servita benissimo dalla Netherlands Chamber Orchestra diretta da Bassem Akiki e dal composito cast vocale di 14 solisti (alcuni “en travesti”) senza nessuna debolezza anche nei ruoli minori. Spiccano comunque le ottime le prove del solido Napoleon di Misha Kiria, minaccioso anche nel fisico imponente, della vulnerabile Mollie di Holly Flack dagli acuti siderali, del cinico corvo Blacky di Elena Vassilieva dalla vocalità androgina, ma anche dei coniugi Jones resi con i colori della farsa da Marcel Beekman e Francis van Broekhuizen e del melenso Pilkington di Frederik Bergman. A questi, si aggiungono le solide prestazioni del Coro della Dutch National Opera, istruito da Edward Ananian-Cooper, e delle impeccabili voci bianche del New Amsterdam Youth Choir, preparato da Anaïs de la Morandais.

Se la musica è soprattutto colore, l’onere del racconto poggia tutto sulle spalle di Damiano Michieletto, che firma per questo Animal Farm uno spettacolo lineare e movimentatissimo con le coreografie di Thomas Wilhelm ambientato fra le alte pareti marmoree di un algido mattatoio disegnato da Paolo Fantin che prende colore e vita grazie alle straordinarie luci di Alessandro Carletti. L’ordine degli umani è una selva di gabbie metalliche che abitano quelle pareti, il segnale della rivolta è un enorme tritacarne che vomita una poltiglia rossastra, la rivoluzione sono le scritte a vernice dei comandamenti degli animali e il nuovo ordine è fatto di mobili in stile e marcette di drappelli ordinati di pennuti con bandierine svolazzanti. Il processo di (dis)umanizzazione degli animali è la maschera zoomorfa rimossa dal volto degli interpreti e la completa trasformazione di Napoleon è suggellata da un doppiopetto azzurro (i costumi sono di Klaus Bruns). E una scritta al neon rosa ci informa, come da originale orwelliano, che tutti gli animali sono uguali anche se alcuni sono più uguali degli altri.

Applausi frenetici, tutti in piedi e la scena si ripete nelle diverse recite del cartellone, tutte esaurite da tempo.

 

Sellars medita su Joséphine

Scordatevi la Joséphine Baker che danza con la gonnellina di banane e le espressioni buffonesche. La “perle noire” protagonista dello spettacolo firmato da Peter Sellars non è affatto la diva del “music hall” tramandata nell’immaginario popolare. Perle Noire: Meditations for Josephine non è un’opera ma teatro musicale o, meglio ancora, un concerto scenico, riallestito sul palcoscenico del Muziektheater sette anni dopo la prima assoluta al californiano Ojai Music Festival.

Lo spettacolo è costruito attorno a sette canzoni del repertorio di Joséphine Baker, da “Bye Bye Blackbird” del 1926 passando per “Sous le ciel d’Afrique” del 1935 e “Si j’étais blanche” del 1933 fino al classico canto degli schiavi “My Father How Long”, rielaborate in chiave jazz e blues e riorchestrate da Tyshawn Sorey, presente sul palco al piano e alle percussioni, per l’International Contemporary Ensemble (ossia Jennifer Curtis al violino, Alice Teyssier al flauto, Travis Laplante al sax, Rebekah Heller al fagotto e Daniel Lippel alla chitarra elettrica). Ai pezzi musicali si alternano gli intermezzi recitati scritti dalla poetessa nera Claudia Rankine, che rovescia il cliché razzista della ballerina nera e ne fa una persona a tutto tondo lucidamente e orgogliosamente consapevole della sua condizione di donna nera. Rivoluzione? Certo! Quella di una donna che punta il dito contro una società, che l’ha ridotta a puro oggetto di divertimento. Una lezione di “politically correct” attorno o a partire da Joséphine.

Nelle poco meno di due ore di spettacolo, austero e ascetico come impone lo stile del Sellars più recente, se non si soffrono troppo le lungaggini e le molte ripetizioni, soprattutto nell’ultima parte, è grazie alla personalità teatrale e magnetica di Julia Bullock, versatile show woman in uno spettacolo completamente costruito sulla sua voce e sul suo corpo, molto esibito nel costume “nude look” di Carlos J. Soto. Formazione vocale classica (alla Juilliard School) ma artista davvero completa, Bullock offre una performance magnetica con la sua voce piena e libera da gabbie stilistiche, seducente e ammiccante nei movimenti di danza nel palcoscenico vuoto, abitato solo da una pedana chiusa fra i sei strumentisti e illuminato dalle magiche luci di James F. Ingalls.

 

La rivoluzione con le parole degli altri

Chi vuole cambiare il mondo deve lasciare la riva dell’Amstel per raggiungere lo Sloterplas, il grande lago artificiale nella prima periferia ovest della città. Al De Meervaart, spazio partecipativo multidisciplinare e “multiprospettiva” destinato, nelle intenzioni di Sophie de Lint, a diventare un partner strategico per l’Opera Nazionale Olandese. La prima collaborazione è il progetto Ändere die Welt! (Cambia il mondo!), nato da una collaborazione fra Nederlandse Reisopera, Opera Zuid e Opera Nazionale Olandese che ha messo a disposizione i giovani cantanti della propria Opera Studio.

Questo “teatro musicale rivoluzionario” concepito dal regista Mart van Berckel e dal compositore Pedro Beriso è pochissimo rivoluzionario, almeno nella forma, una antologia di Lied a soggetto rivoluzionario, spesso in senso molto lato, cucita da interventi della giovanissima “spoken word artist” Amara van der Elst, che vorrebbero tradurre in spunti di riflessione gli stimoli musicali ma che risultano piuttosto sentenziosi e retorici nel complesso. La drammaturgia dello spettacolo è molto porosa, com’è inevitabile volendo mettere insieme brani di autori molto lontani come sensibilità e contenuti, dal Beethoven di “Komm Hoffnung” (Vieni speranza) dal Fidelio o “Die Trommel gerhüret” (Rullarono i tamburi) dall’Egmont, dallo Schumann di “In der Fremde” (In un paese straniero) e “Die beiden Grenadiere” (I due granatieri) fino agli “engagés” Weill e Eisler su parole di Brecht (scelta obbligata) che fanno la parte del leone, senza trascurare un paio di russi come il Rachmaninov di “Uzh ty, niva moja, nivushka” (Il raccolto del dolore) e lo Šostakovič di “Vozrozhdenija” (Rinascita), che con il Wagner di “Träume” dai Wesendonck Lieder e lo Schoeck di “Heerwagen, mächtig Sternbild” (Orsa Maggiore, costellazione possente) conclude in chiave di metafisica speranza la composita antologia.

I quattro giovani cantanti Sam Carl, Inna Demenkova, Michael Wilmering e Elenora Hu, quattro sopravvissuti con un ragazzo che rappresenta il futuro con le sue speranze, interpretano i diversi lied sullo sfondo di un paesaggio urbano “dopo la rivoluzione” immaginato dalla scenografa Vera Selhorst: una parete di vetrine in parte sfondate, una distesa di sedie rovesciate, una bandiera rossa fatta di fumo. È la fotografia del momento della riflessione dopo la distruzione in questo spettacolo troppo mediato da parole di altri per essere emotivamente eloquente. Sul lato, i musicisti dell’Orchestra LUDWIG diretti al pianoforte da Paolo Beriso, anche autore degli arrangiamenti per piccola orchestra che danno uniformità a un insieme eterogeneo di stili musicali, partecipano occasionalmente all’azione scenica.

Anche al Meervaart non manca il pubblico, e specialmente quello giovane, che risponde con entusiasmo.

 

Archiviate le rivoluzioni possibili o immaginate di questa edizione, Opera Forward Festival torna nel 2023 parlando di “responsabilità” e promette una nuova opera The Shell Trial da un testo teatrale di successo ispirato a una causa collettiva che ha visto circa 70 mila cittadini olandesi fare causa alla compagnia petrolifera per le sue responsabilità nel degrado ambientale, e una nuova Antigone per coro di donne di Samy Moussa, presentata come sequel dello stravinskijano Oedipus Rex  di Stravinskij a 100 anni dalla prima con la regia e le coreografie di Wayne McGregor.

 

 

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