Aci, Galatea, Polifemo e i loro doppi

La serenata di Haendel al Carignano di Torino

Sara Mingardo (Galatea) con il suo doppio
Sara Mingardo (Galatea) con il suo doppio
Recensione
classica
Teatro Regio
Georg Friedrich Haendel
12 Giugno 2009
La storia di Aci e Galatea dalle “Metamorfosi” di Ovidio a Haendel piacque due volte, nella vita: la prima fu a Napoli nel 1708. Aveva 23 anni, e su libretto dell’abate arcadico Nicola Giuvo compose questa “serenata a tre” per le nozze della Principessa d’Acaja. Al Regio di Torino hanno chiamato la Cappella della Pietà de’ Turchini di Antonio Florio, da Napoli, e una specialista del canto barocco come il mezzosoprano Sara Mingardo, che è la ninfa Galatea. La sala settecentesca del Teatro Stabile è stata appena restaurata, e ha ricavato una piccola buca dove stanno quasi tutti i musicisti del piccolo ensemble, clavicembali esclusi, che stanno appoggiati in platea, microfonati per farsi sentire dai cantanti. L’acustica è discreta, ma molto secca, e per tutta la prima parte oboe, fagotto, violini, viole ondeggiano cercando l’intonazione con le voci inadeguate di Ruth Rosique e Antonio Abate. Davide Livermore, che è un cantante lirico diventato regista, ovviamente non sbaglia regia: sceglie di doppiare i tre personaggi, e li agita in una scena dove vari schermi proiettano i video ipernaturalistici di Marco Fantozzi, che nelle splendide statiche arie di belcanto rappresentano gli affetti e le metafore ricorrenti: aquila, farfalla, serpe, aria, acque, sangue. La Cappella di Florio ha per suo stile un suono piccolino, che funziona spesso magistralmente quando l’affiatamento con la scena è perfetto. Qui arie di una difficoltà strabiliante, scritte per castrati dalle doti mirabolanti vengono torturate spesso. In ogni caso, il dado è tratto, Haendel è stato eseguito nell’anno di Haendel: un giorno lo sentiremo come è opportuno cantarlo.

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