Accade a Gavoi

diario del 30 giugno

Recensione
jazz
Ieri a Gavoi ho avuto l’impressione di essere nel mondo. Non solo perché dopo diciotto giorni di cieli ho suonato tra quattro mura e sotto un tetto ma perché il festival della Letteratura di Gavoi modifica il percorso urbano e il pensiero della gente. E questo si percepisce ed è bello e ti obbliga a dare di più. Perché quando ci arrivi da Ottana e Sarule con cento curve ti rendi conto di essere altrove. Quell’altrove capace di dialogare con sé stesso e con gli altri, quello fatto di gente conosciuta e di gente sconosciuta che ormai si riconosce perché è Gavoi, in quei giorni, a diventare il mondo stesso.
Chiedo a Don Gesuino Corraine se posso spostare il leggìo sull’altare della sua chiesa e mi risponde che la chiesa è di tutti e che dunque posso fare quello che voglio.

Marcello Fois mi riceve nel piazzale della chiesa con intorno gente che si chiede come mai tutto ciò avvenga a Gavoi e non a Milano. Forse perché a Milano non c’è Don Gesuino Corraine e una chiesa di tutti. Forse perché a Milano, a Torino o a Monaco non c’è quello che appena ti vede passare ti invita a mangiare “purputza” e a bere vino nero nella sua cantina. Forse perché non capita di incontrare assieme Maria Giacobbe, Michela Murgia, Barbara Serra, Gad Lerner, Idelfonso Falcones e Andrej Longo e quest’ultimo ti dà il suo ultimo libro con una dedica e si scusa per avertelo dato. A Gavoi si è al centro del mondo perché all’una di notte arriva Ermanno Olmi dopo sette ore di viaggio e ti viene voglia di suonare per lui “Non ti scordar di me” con Daniele di Bonaventura al bandoneón e tutti si commuovono perché è il suo ottantesimo compleanno e lo festeggia proprio lì.

Accade anche questo a Gavoi e in fondo non accade niente se non per il fatto che è l’emozione della gente a costruire il mondo prima che le case, le strade, i libri e “sa purputza”. Il bis del concerto con Mistico Mediterraneo, un sardo, sette cantori corsi e un marchigiano, è “Meditate” di Jean-Claude Acquaviva ispirato a un testo di Primo Levi. Questo recita “meditate gente che questo è stato”. A Gavoi accade che il suono della parola si faccia musica tra “sas carrelas”, le cantine e le chiese. E accade che tutti ti fermino per strada e ti dicano grazie, toccandoti la mano. Non si vedono libri a Gavoi, se non nelle fotografie affisse sui muri scrostati del paese e nelle maglie dei volontari che vi circolano indaffarati.
Su queste c’è scritto “L’Isola delle storie” e tutto è una bella storia da raccontare in un libro.
E accade che tu debba fare una foto con il personale del ristorante “Santa Rughe” e con il suo proprietario Franco Podda o che Laura dica che vuole fidanzarsi con te anche se non è vero e lo scherzo è nella qualità delle parole da scrivere. Capita anche che il Maestro Olmi a Gavoi sia di casa e che gli abitanti lo chiamino per nome e gli diano del tu e che questo sembri un film ancora da girare. Un film di lingue, volti e profumi. Purputza, vino, pecorino, fave, gente con o senza un libro in mano. Perché le storie si possono raccontare senza leggerle quando la memoria ne immagazzina il suono delle parole.
Anche “Libertà è percepire il mondo e il suo pensiero” può essere l’incipit di un libro da scrivere e invece è un mio frammento di frase che sta nella t-shirt di Amnesty International che compie 50 anni come me e che spesso ci accompagna in questo folle viaggio.
Viaggio di parole, suoni, odori, sapori, sguardi.
A Gavoi capita anche che alle due del mattino ti invitino a vedere una cantina che è uno spettacolo di posto e di bottiglie e che tu vada via alle cinque quando tutti dormono sognando storie. E che ancora con un bicchiere in mano e un pezzo di pecorino si alzi la voce disquisendo sull’indipendentismo sardo e sul senso della Sardegna di oggi fino a quando ci si stanca di parlare e sarebbe meglio leggere un libro se non fosse così tardi. Sarule, Ottana con cento curve. E poi Abbasanta e Oristano che sembra un altro mondo.
La Sardegna da raccontare è una e le storie da scrivere sono tante.

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