A Francoforte torna l’ultimo Reimann
L’invisible, ultima opera del compositore scomparso nel 2024, riproposta all’Oper Frankfurt in un nuovo allestimento

La nuova produzione de L’invisible è la prima parte del doppio omaggio che l’Oper Frankfurt ha voluto rendere in questa stagione al compositore Aribert Reimann, scomparso poco più di un anno fa. La seconda tappa, Melusine, seconda opera del compositore, è annunciata al Bockenheimer Depot in chiusura di stagione.
Si comincia dunque con l’ultima opera composta da Reimann, autore anche del libretto in lingua francese, ripresa a poco meno di otto anni dalla prima assoluta alla Deutsche Oper di Berlino ma presentata sul palcoscenico dell’Opernhaus in un nuovo allestimento. Già nella dedica al fratello Dietrich, scomparso quattordicenne a Berlino nel 1944 sotto le macerie dell’ospedale nel quale era ricoverato in ospedale per scarlattina, un ricordo che non l’ha mai abbandonato per tutta la vita, si avverte il senso della fine così come nell’epigrammatico titolo scelto per questa sua opera, che allude implicitamente (ma nemmeno troppo) alla morte, tema del resto molto presente nella produzione operistica di Reimann. Il materiale drammaturgico proviene da tre atti unici di Maurice Maeterlinck, L’intruse, Intérieur e La mort de Tintagiles, i primi due conosciuti alla Schaubühne di Berlino nel 1985 e il terzo molti anni dopo ma da subito Reimann ebbe chiara la volontà di trarne un’opera. La morte è il filo che lega le tre storie: la morte che, visibile solo al padre cieco, coglie la figlia fresca di parto nel primo episodio, la morte che lo straniero e il vecchio non sanno come comunicare alla famiglia della donna annegata, e la morte che una invisibile regina infliggerà attraverso i suoi servi al giovane e innocente Tintagiles, nonostante la protezione delle sorelle Ygraine e Bellangère e del cavaliere Aglovale.
Rispetto all’allestimento berlinese, la regista Daniela Löffner, al debutto nell’opera dopo una relativamente lunga carriera nella prosa, evita facili riferimenti al quotidiano (tranne che negli ordinari costumi di Daniela Selig) e a una materialità che non appartengono alle tre storie di un maestro del non detto e del silenzio come Maeterlinck. Il palcoscenico è inizialmente un grande ventre nero tagliato solo dalle luci laterali di Joachim Klein che esaltano i corpi. Nel primo episodio è abitato solo da un tavolo imbandito per i convitati a un banchetto per la celebrazione di una nascita che si tramuta in una morte inattesa e annunciata solo dai presagi del vecchio padre cieco, mentre sui due lati opposti si vedono una culla e la madre che traccia il ritratto di un re bambino, forse il Tintagile della fine. Nel secondo episodio delle inquietanti isole erbose con lunghissime radici invadono il palcoscenico calando lentamente dall’alto, con un effetto inquietante ben congegnato dallo scenografo Fabian Wendling. Le stesse isole si muteranno in un’alta scogliera da dove Tintagile e Ygraine osserveranno il castello in rovina dell’invisibile regina morente ma che rappresenta un’implacabile minaccia alla vita del ragazzo. Nel disegno registico, i diversi interpreti tornano nei tre episodi come a tessere i fili della trama di un unico materiale narrativo, che tuttavia né aggiunge né sottrae nulla al sinistro fascino delle tre storie.
In qualche modo in contrasto con il carattere astratto del disegno scenico, si pone invece l’esecuzione musicale diretta da Titus Engel. È vero che una certa solida matericità si ritrova nella scrittura di Reimann, che non è certo quella quasi espressionista del Lear, la sua opera più celebre e celebrata, e tuttavia Engel tende ad enfatizzare anche sul piano agogico i contrasti, degli archi soli nel primo episodio, dei fiati soli nel secondo episodio, nel quale la direzione sembra trovare un maggiore equilibrio, e nell’orchestra al completo nel terzo episodio, il più compiuto musicalmente e bilanciato su quello esecutivo. L’ultima parte è anche la più riuscita sul piano vocale soprattutto per l’intensa Ygraine di Irina Simmes, affiancata dalla Bellangère di Karolina Makuła (entrambe sono anche le figlie Marie e Marthe del vecchio nel secondo episodio) e dal corposo Aglovale di Erik van Heyningen, che è anche il padre cieco nel primo episodio e il vecchio nel secondo. Sinistramente efficace anche il fantasmatico trio dei servitori della regina, i tre controtenori Iurii Iushkevich, Tobias Hechler e Zvi Emanuel-Marial. Nel girotondo di interpreti dei tre episodi meno marcanti sono le prove di Gerard Schneider, lo zio e lo straniero, e Sebastian Geyer, il padre. Notevole, invece, la presenza del giovanissimo Johann Böhme nel ruolo parlato di Tintagiles sostenuto con trepidante partecipazione emotiva.
Pubblico piuttosto scarso alla quarta delle sette recite in programma ma risposta calorosa.
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