A Santa Cecilia una radicale rilettura del Requiem di Mozart

Manfred Honeck ha eliminato le parti non autografe dell’ultima opera di Mozart e ha aggiunto musiche e letture che ne illuminano e ampliano il significato

Manfred Honeck
Manfred Honeck
Recensione
classica
Roma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia
Manfred Honeck e l'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
12 Maggio 2022 - 14 Maggio 2022

La precoce morte impedì a Mozart di completare il Requiem,  che rimase avvolto da fantasie e leggende non più che pittoresche e da ben più importanti questioni musicologiche, che riguardano quali parti del Requiem siano veramente opera di Mozart. Soltanto l’Introitus  e il Kyrie  sarebbero stati interamente compiuti da lui in ogni dettaglio.  Della Sequenza  scrisse per esteso le parti vocali, sia solistiche che corali, e abbozzò l’orchestrazione, fermandosi però all’ottava battuta del Lacrimosa,  che costituisce l’ultima delle sei sezioni di questa parte del Requiem.  Poi riprese dal successivo Offertorium, lasciando anche questo allo stato di abbozzo.  Delle tre parti successive, SanctusAgnus Dei  e Lux aeterna,  non ci è rimasto nulla di mano di Mozart, ma si ha ragione di ritenere che chi completò il Requiem  – principalmente il suo allievo Süssmayr – abbia avuto a disposizione qualche più o meno vaga e frammentaria indicazione di Mozart. Le conseguenze dell’incompiutezza in cui Mozart ha lasciato il Requiem si avvertono soprattutto verso la fine, quando la qualità musicale e la forza espressiva diminuiscono, sebbene ad onore di Süssmayr va detto che riuscì a preservata l’unità di fondo di questa vasta composizione, senza disuguaglianze e dislivelli eccessivi.

Manfred Honeck non ha finto d’ignorare l’incompiutezza del Requiem è ha cercato un nuovo e personale modo di proporlo al pubblico. Probabilmente è partito dalla considerazione che il Requiem di Mozart, come tutta la musica sacra dell’epoca, non era pensato per una sala da concerto ma per una funzione liturgica in commemorazione di un defunto. E tutti sappiamo come le cerimonie cattoliche, in particolare quelle funebri, avessero una loro “teatralità”, a cui concorrevano - oltre alla musica del Requiem  in senso stretto - altri inserti musicali, alcuni in canto gregoriano e altri in stile moderno, e poi letture dalle sacre scritture, meditazioni e sermoni, che sicuramente evocavano il ricordo del defunto ma esprimevano anche i sentimenti delle persone a lui care, come d’altronde avviene anche oggi, seppure in forme diverse. E c’era anche il suono delle campane. Proprio tre lenti rintocchi di campane aprono e chiudono l’esecuzione del Requiem “secondo Honeck”. Basta questa semplicissima cornice a creare un’atmosfera mistica e insieme teatrale, che ci fa capire che non stiamo assistendo ad un normale concerto. Mistico e insieme teatrale è anche il primo brano musicale che ascoltiamo, il semplice e severo Requiem aeternam  in canto gregoriano, con l’effetto scenografico delle voci nascoste alla nostra vista che giungono dall’alto, come dall’al di là.

Poi Massimo Popolizio legge la parte centrale della commovente lettera scritta da Wolfgang Mozart al padre morente, che contiene queste parole: “La morte è il vero e ultimo fine della nostra vita, da alcuni anni mi sono familiarizzato con questa vera, ottima amica dell’uomo, al punto che la sua immagine non soltanto non ha nulla di terribile per me, ma è qualcosa di rassicurante e consolatorio”. Ma a questa lettura segue, nella splendida esecuzione di Honeck, la Musica funebre massonica,  che col suo colore oscuro e funereo contraddice quelle parole di serena accettazione della morte e raggiunge un apice di acuto e profondo dolore, prima che la modulazione al do maggiore porti infine un raggio di speranza. Effettivamente “rassicurante e consolatorio” è invece il successivo brano, che però non fu scritto da Mozart per una funzione funebre: si tratta del giovanileLaudate Dominum  dalle Vesperae solennes de Confessore,  simile ad un’incantevole aria operistica, appena velata di mestizia, che non stonerebbe in bocca alla Contessa delle Nozze di Figaro.  Un altro inserto di canto gregoriano prelude alla lettura di due sonetti di Michelangelo Buonarroti, tormentate riflessioni sulla vanità della vita e sul mistero che ci attende alla sua fine.

Qui inizia il Requiem  mozartiano, di cui l’interpretazione di Honeck evidenzia il tono rituale e oggettivo, conforme alle regole della musica liturgica cattolica del tempo, che non lasciavano molto spazio ad interpretazioni soggettive del testo sacro: il suo re minore cupo e drammatico - perfino terrificante nel Rex tremendae  - evoca la ritualità arcaica di testi che risalgono al medioevo e ancora più indietro. Questa arcaicità è rimarcata dall’interpolazione di due letture tratte dal Libro della rivelazione o Apocalisse, tradizionalmente attribuito all’apostolo Giovanni. Dopo l’Hostias,  l’ultima parte scritta almeno in abbozzo da Mozart, Honeck non prosegue con le ultime tre parti apocrife del Requiem  ma fa un passo indietro e ripete il Lacrimosa,  che già aveva eseguito per intero, mentre ora si arresta là dove Mozart stesso si era fermato. In questa breve pagina sono strettamente intrecciati lutto, dolore e speranza, ma è la speranza a prevalere secondo Honeck, che sceglie di proseguire questo frammento di otto battute con l’Ave verum corpus,  che non appartiene alla liturgia dei defunti ma a quella della Pasqua di resurrezione e introduce una luce di ultraterrena serenità: il cupo re minore del Requiem  approda così al luminoso re maggiore di questo breve mottetto, ultimo brano di musica sacra portata a termine da Mozart.

Raccontare il montaggio di testi e musica compiuto da Honeck è stato un po’ complesso e per il lettore forse noioso, ma si può assicurare che per chi l’ha ascoltato è stato un viaggio musicale su temi che toccano profondamente ognuno, come ha testimoniato il lunghissimo silenzio seguito all’ultima nota, prima che gli applausi scoppiassero forti, unanimi, interminabili, ben diversi da quelli clamorosi ma spesso frettolosi del pubblico romano.

Merito anche dell’esecuzione diretta da Manfred Honeck, uno dei più grandi eredi attuali della tradizione musicale viennese, alle cui indicazioni l’Orchestra e il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia hanno risposto non solo bene ma con un impegno che si capiva venire dal profondo. Impeccabili gli interventi della Schola Gregoriana del Pontificio Istituto di Musica Sacra diretto da Franz Karl Prassi. Ottimi infine i solisti vocali, Federica Lombardi (che è emersa particolarmente nell’ampia pagina solistica del Laudate Dominum), Marianna Pizzolato, Mauro Peter, Krzysztof Baczyk. La voce recitante era quella di Massimo Popolizio.

PS Questa esecuzione veramente straordinaria – in ogni accezione del termine –del Requiem  di Mozart, si è presa tutto lo spazio, ma è impossibile non dedicare almeno qualche parola anche alla bellissima esecuzione della Sinfonia n. 1  di Beethoven, di cui Honeck ha colto sia l’eredità di Haydn (chissà perché qualcuno definisce haydniana questa sinfonia come se fosse un limite e non un grande riconoscimento per un giovane compositore che era alla sua prima prova in questo campo) sia i preannunci del Beethoven futuro. Ma soprattutto Honeck ha dimostrato che questa è una grande sinfonia e non è post qualcosa e ante qualcos’altro ma è già perfettamente compiuta e valida in sé e per sé.

 

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Bologna: il nuovo allestimento operistico dell’Orchestra Senzaspine ha debuttato al Teatro Duse

classica

Successo per Beethoven trascritto da Liszt al Lucca Classica Music Festival

classica

Non una sorta di bambino prodigio ma un direttore d’orchestra già maturo, che sa quello che vuole e come ottenerlo