Enore Zaffiri, l'elettronica romantica

È morto a 92 anni il compositore Enore Zaffiri: un ricordo di Andrea Valle

Enore Zaffiri con l’autografo di Musica per un anno (foto di Marco Stefenatto)
Enore Zaffiri con l’autografo di Musica per un anno (foto di Marco Stefenatto)
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Il 29 ottobre 2020 è morto a 92 anni Enore Zaffiri. Abbiamo chiesto ad Andrea Valle, compositore e docente al DAMS di Torino, che con Zaffiri ha collaborato, di ricordarlo.

«Ho ripreso Musica per un anno nel ’96: ho fatto 144 ore». Così mi diceva Enore Zaffiri in un’intervista che ho avuto modo di raccogliere nel 2012, anno in cui Università e Conservatorio di Torino gli hanno dedicato un doveroso omaggio, tradottosi in un concerto e in due giornate seminariali, i cui atti sono stati pubblicati in volume (lo si può leggere qui). Zaffiri sta facendo riferimento a quello che è l’apice della sua prima fase di esplorazione elettronica, Musica per un anno (1968).

Enore Maria Zaffiri, nato il 29 marzo 1928, ci ha lasciato il 29 ottobre 2020: con la consueta, non pedante, precisione, esattamente dopo 92 anni e 7 mesi. Senza voler ricostruire la sua biografia, umana e intellettuale (su cui è disponibile il dettagliato resoconto di Marco Stefenatto, il cui lavoro include tra l’altro un catalogo generale delle opere), vale la pena ricordare per sommi capi gli eventi principali della sua lunghissima, ma anche appartata, vita d’artista.

Enore Zaffiri con l’autografo di Musica per un anno, fotografia di Marco Stefenatto.
Enore Zaffiri con l’autografo di Musica per un anno (foto di Marco Stefenatto)

Nato a Torino, figlio del generale Biagio, primo combattente clandestino delle valli di Lanzo, Zaffiri dimostra fin da bambino un precoce talento grafico, che convince il padre a mandarlo a bottega all’Aerostudio Borghi, a posteriori un momento cruciale nella sua formazione di musicista. Sempre a Torino, studia pianoforte e composizione in Conservatorio, si diploma nel 1953, e nel 1954 si reca in soggiorno a Parigi, dove ha una chiara percezione del fermento post-bellico rispetto a una Torino ancora assai immobile musicalmente. Nei dieci anni che seguono matura così in lui un sentimento del tempo nuovo, l’ineluttabilità di una contemporaneità che deve trovare una adeguata rappresentazione in musica, e decide così, dopo l’esperienza dodecafonica delle Variazioni e sostanzialmente in uno splendido isolamento (a lui congeniale fino alla fine), di fare musica elettronica.

I primi frutti di questo lavoro sono del 1964: la composizione Tr/e/54. Il capolavoro è probabilmente Musica per un anno, progetto di «musica elettronica per la sonorizzazione di ambienti, che non deve imporsi, è sempre “importante”, risponde alle necessità dell’uomo contemporaneo». Progetto in senso letterale, anche dal punto di vista più usualmente grafico, che prende la forma di un sistema per produrre musica per tutte le 24 ore di un perfetto anno zaffiriano di 360 giorni, e le cui istruzioni sono liberamente disponibili in modo tale che ognuno possa costruire la sua ora di musica. La si potrebbe chiamare, a testimonianza di un doppio fare largamente anticipatorio, open source ambient music.

Nel frattempo, insegna in Conservatorio, e, dopo aver fondato nel 1964 lo Studio di Musica Elettronica di Torino (SMET), riesce a far aprire ufficialmente presso lo stesso Conservatorio il Corso sperimentale di musica elettronica, il secondo in Italia dopo quello fiorentino istituito da Pietro Grossi, collega e amico con cui Zaffiri avrà un lungo e proficuo rapporto. L’attività di docenza proseguirà fino al 1982, anno in cui, piuttosto repentinamente vista l’età all’epoca del compositore, Zaffiri deciderà di andare in pensione, per dedicarsi a tempo pieno ad altri progetti.

Negli anni Settanta aveva già avuto modo di cambiare passo improvvisamente: lasciata la composizione su nastro, Zaffiri – tra i primi – utilizzava il sintetizzatore dal vivo (inizialmente un Synthi A, recuperato avventurosamente a Londra).

La dimensione performativa lo avvicinava anche all’improvvisazione, mentre i fermenti multimediali ante litteram già presenti nello SMET, e poi nella sua estensione SIE (Studio di Informazione Estetica), unitamente alla sua vocazione visiva, lo spingevano verso il film, il teatro, il balletto.

Nonostante questi fermenti, abbandonato l’insegnamento nel 1982, Zaffiri cambia strada in seguito a una crisi artistica e esistenziale e si dedica a concepire e produrre integralmente una monumentale enciclopedia audiovisiva sull’arte occidentale, L’Arte nella Storia, 100 argomenti dalla Grecia antica al 1945, pubblicata in 52 videocassette (nientemeno!). Inesausto, Zaffiri saluta con gioia le nuove tecnologie informatiche disponibili al di fuori degli studi specializzati, e progressivamente utilizza campionatori, sequencer, personal computer, per comporre e per improvvisare, sempre di più includendo nel suo lavoro, soprattutto a partire dagli anni Novanta, la dimensione visiva, in una attività che prosegue senza pause fino a pochi anni fa. Nel 1997, si produrrà in una storia multimediale della musica su CD-ROM, Dalla lyra al sintetizzatore. Nella sua ultima abitazione, alle pareti si vedono suoi lavori grafici di abilissimo disegnatore undicenne, mentre sulla scrivania c’è il suo iMac, con cui ha continuato a lavorare fino quasi all’ultimo.

Enore Zaffiri
Enore Zaffiri: 0871

Se dovessi pensare ai lasciti di Zaffiri, il primo, ben testimoniato dalla mia citazione d’apertura, è senz’altro una lezione di operosità: Enore (così si faceva subito chiamare, nella sua cordialità gentile e composta) ha attraversato quasi un secolo senza mai fermarsi. Questa operosità è solcata dai brividi dell’inquietudine, tipica dell’arte di ricerca, che la trattengono e la costringono ad arresti momentanei ma che non possono mai fermarla del tutto. Così, il giovane compositore ben avviato verso la scrittura tradizionale per strumenti (Zaffiri vince anche dei premi di composizione), lascia del tutto la scrivania coperta di pentagrammi per spostarsi al tavolo di montaggio dei nastri. Non sentirà mai alcuna nostalgia e non scriverà più note. Ancora, proprio quando il compositore in fondo avrebbe potuto raccogliere i frutti della fase strutturalista su nastro magnetico, capitalizzando per così dire la sua attività degli anni Sessanta, Zaffiri (è solo il 1970) cambia completamente strada per abbracciare la dimensione performativa, con un gesto indubitabilmente pionieristico. Va in pensione presto, dopo anni di corsi affollatissimi, precludendosi in fondo quella continuità con gli allievi che maturano che costituisce la tipica dimensione sociale dell’essere un maestro. D’altronde è il 1982, e Zaffiri (bontà sua) è convinto che l’esperienza della musica elettronica fino ad allora sia esaurita.

– Leggi anche: Die Schachtel, la meraviglia della sperimentazione italiana

La seconda lezione è di apertura. Fortuna o natura hanno voluto che Zaffiri fosse artista di vocazione e non musicista di mestiere. Di qui non soltanto un’inesausta, anche se non accademica, curiosità per il mondo (le arti, le tecnologie), ma anche una capacità di confrontarsi con esperienze e personalità diverse. Questo vale ovviamente da un punto di vista artistico: nel SIE confluiscono un artista come Sandro De Alexandris, un poeta come Arrigo Lora Totino e un architetto come Leonardo Mosso. Ma vale anche da un punto di vista didattico: al Corso sperimentale di musica elettronica sono allievi di Zaffiri studenti di ingegneria, di fisica, di lettere, di informatica, di architettura e arti visive, numerosi dei quali intraprenderanno tra l’altro una carriera universitaria. Una strana conseguenza è che Zaffiri continua a godere di una fama vasta e insieme nascosta: più al di fuori della musica, che all’interno dei suoi circoli, almeno di quelli più ufficiali. Provando a recuperare, ora la Scuola di musica elettronica del Conservatorio di Torino si chiama opportunamente SMET, e la speranza è quella di rendere accessibili pubblicamente i lavori del Maestro, secondo il suo desiderio, in collaborazione con la figlia Ingrid.

La terza lezione è lo stupore. Come abbiamo avuto modo di scrivere con Stefano Bassanese, Zaffiri è uno «sperimentatore inesausto e curioso, a tratti quasi naïf nel perseguire “in purezza” il suo percorso di ricerca». La meraviglia è l’origine aristotelica della filosofia, e se filosofia è l’amore per il sapere, questo vale per tutti i domini a cui quest’ultimo si applica. Zaffiri ha perseguito intensamente lo stupore, quello proprio del compositore di ricerca a contatto con l’inudito che diventa udibile. Auroralmente, per lui la musica elettronica è stata in primis un’esperienza di ascolto del possibile: come mi disse, «ho sempre vissuto questa cosa [l’esperienza della musica elettronica] con molta emozione». Lo stupore è in fondo il modo in cui Zaffiri riesce a proseguire il suo percorso nel solco di una tradizione musicale di formazione che è poi quella romantica, nel senso alto per cui il Romanticismo è la vita interiore che si confronta con la natura (tradizione che omaggerà nelle tarde Musiche della memoria).

Oppure, come da risposta di Enore a una mia domanda sulla ricostruzione di Musica per un anno, con il suo usuale understatement pedemontano: «Enore, ma ce lo metteresti il riverbero?», «Mah, io ce lo metterei, sai sono un po’ romantico!», risate.

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