Butterfly dalla clubhouse alla bidonville

Caracalla:Alex Ollé (Fura dels Baus) rilegge l'opera pucciniana senza sentimentalismo decadente

Recensione
classica
Terme di Caracalla
Giacomo Puccini
14 Luglio 2015
Da una Butterfly a Caracalla non ci si può aspettare molto, ma se c'è di mezzo la Fura del Baus le cose cambiano. Com'è ormai la regola, l'epoca della vicenda è spostata ai nostri giorni. Il banchetto di nozze della coppia giappo-americana è preparato da un efficientissimo e chiaramente costosissimo catering sul prato all'inglese di un elegante club del tennis; tra gli invitati gli occidentali non sono soltanto l'ufficiale e il console americano, ma la maggioranza, tutti pescecani della finanza in grigio e occhiali da sole con annesse mogli "firmate" dalla testa ai piedi. Capiamo che Alex Ollé - come spiega nelle sue note di regia - vuole mettere l'accento sul rapporto di sfruttamento di un paese del terzo mondo, quale forse poteva essere considerato allora il Giappone, da parte dell'occidente capitalista e imperialista. Non è una gran novità, già in Illica-Giacosa-Puccini questo è abbastanza chiaro, ma quel che conta non è la tesi politica bensì l'impatto drammaturgico, che nel primo atto è modesto - sembra la solita regia fighetta - poi le cose cambiano e lo spettacolo diventa aspro, duro, anche sgradevole come la vicenda della ragazza-madre giapponese. Niente "casa a soffietto" ma una baracca di lamiere tra gli scheletri in cemento armato dei palazzoni che la "Pinkerton Corporation" sta tirando su e tra cui si sono sistemati altri disperati, rappresentati come profughi arrivati su qualche carretta del mare: sono loro a cantare il coro a bocca chiusa, che non è più dunque un sogno di Butterfly. E lei, dismesso l' "obi vezzoso", s'intabarra in una lacera coperta militare, gettata la quale appaiono una canottiera dozzinale e un paio di pantaloncini inguinali, come una qualunque ragazza di una qualunque periferia metropolitana. La sventura l'ha colpita e trasformata anche nell'intimo, si muove in modo sgraziato e sguaiato: non è volgarità, è il dolore insopportabile che ha fatto a pezzi la sua anima delicata e l'ha resa dura ed esacerbata, ma è solo una corazza esteriore, dentro resta fragile. L'interpretazione della rivelazione Asmik Grigorian, capace di inflessioni delicatissime ma mai manierate e di scatti drammatici violenti ma mai veristi in senso deteriore, è in linea con la regia e il risultato è emozionante e - lo confessiamo - commovente. Ottima direzione di Yves Abel, sebbene un po' penalizzata dall'acustica, e bene gli altri personaggi principali: Angelo Villari, Alessio Arduini, Saverio Fiore, Anna Pennisi. Meritatissima standing ovation per la Grigorian.

Note: Nuovo allestimento in collaborazione con Opera Australia/Sydney Opera House

Interpreti: Asmik Grigorian/Donata D'Annunzio Lombardi (Cio-Cio-San), Anna Malavasi/Anna Pennisi (Suzuki), Anastasia Boldyreva (Kate Pinkerton), Sergio Escobar/Angelo Villari/Fabio Sartori (Pinkerton), Alessio Arduini/Stefano Antonucci (Sharpless), Saverio Fiore (Goro), Andrea Porta (Yamadori), Fabrizio Beggi (zio Bonzo), Federico Benetti (Commissario imperiale)

Regia: Alex Ollé (La Fura dels Baus)

Scene: Alfons Flores

Costumi: Liuc Castells

Orchestra: Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma

Direttore: Yves Abel

Coro: Coro del Teatro dell'Opera di Roma

Maestro Coro: Roberto Gabbiani

Luci: Marco Filibeck

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