Verdi riflesso
All'Opera di Firenze la “Traviata degli specchi” di Brockhaus e Svoboda

Recensione
classica
E' approdata anche all'Opera di Firenze la celebre e oramai più che ventennale “Traviata degli specchi” dello scenografo Josef Svoboda (con i costumi di Giancarlo Colis), con la grande superficie inclinata in cui si duplicano i salotti-bordelli di lusso Belle Epoque, il villino campestre, l'ultima casa di Violetta, con il magico snodarsi sotto i nostri occhi dei tappeti-fondali, a ricordarci come, grazie a Verdi, la contemporaneità, e non la storia o il mito, per la prima volta si riflettesse nel doppio del teatro musicale tragico; e anche la regìa di Henning Brockhaus mantiene la sua grande forza poetica, pur con non poche sbavature e didascalismi a partire dall'esecrando costume di “sceneggiare” il preludio. Sul podio, Zubin Mehta, festeggiatissimo alla fine, fa una Traviata coerente con le sue scelte verdiane degli ultimi anni, e sembra cercare una chiave più lirica, dalle sospensioni quasi oniriche – pensiamo alla lentissima delibazione del “Dite alla giovine” - che si può condividere o no, ma che ha coerenza, respiro, efficacia comunicativa. Con la sua vocalità puntuta arricchitasi negli anni di nuovi spessori, Eva Mei costruisce una Violetta che non conquista visceralmente, un'originale Violetta in progress, antieroica e alla fine, nel grande Addio, struggente, e infatti assai applaudita, a cui fa da contrappeso, quasi a ridefinire gli equilibri, l'Alfredo anche troppo veemente e verista ma tutt'altro che spiacevole di Ivan Magrì. Paolo Gavanelli è un Germont alquanto consunto, bene gli altri, e citiamo almeno le ottime Flora e Annina (Anastasia Boldyreva, Simona Di Capua), e bene, nel terzo quadro, per le coreografie di Valentina Escobar, anche ciò che resta del morente Maggiodanza. Repliche con questo e altro cast fino all'8 aprile.
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