Hosokawa a Berlino

Festival Infektion parte II

Recensione
classica
L’ultimo appuntamento di Infektion 2015 ha riguardato la ripresa di ‘Matsukaze’ di Toshio Hosokawa, che aveva debuttato già nel 2011 alla Staatsoper: Hosokawa aveva proposto due anni dopo, per il festival berlinese, un altro titolo di teatro musicale tratto da un testo No giapponese, ma stavolta di Mishima (‘Hanjo’), e perciò sembra esserci una precisa strategia drammaturgico-musicale destinata a realizzare un ciclo, che – complici le autorevoli firme registiche cui gli allestimenti sono stati affidati – sembra aver destato molto interesse nel pubblico. Lo spunto narrativo è esilissimo: un monaco buddista s’imbatte, sulla riva del mare, in un pino sul quale è affisso il ricordo dell’amore irrisolto di due donne (tra cui Matsukaze) per un uomo lontano; le due donne e la loro casa di gesso riappaiono, finché tutto non si rivela un sogno. La pièce è definita opportunamente ‘opera coreografica’, dato che il ruolo delle azioni coreografiche che Sasha Waltz tesse per tutta la durata è tutt’altro che ornamentale (anche se esse parlano un linguaggio più spesso assoluto che referenziato simbolicamente alla storia), e gli stessi cantanti in scena sono chiamati a prendervi; inoltre, i corpi si dispongono spesso a formare o completare le essenziali scenografie, e lo stesso elemento sonoro tace o si ritrae a funzione di effetto-sfondo, per lasciare in primo piano i disegni coreografici (sempre interessanti e semplici, complessi e armoniosi nello stesso tempo).

La musica di Hosokawa conferma qui il suo orientamento a una sintesi timbrica e temporale tra caratteristiche euroccidentali e orientali, il cui luogo privilegiato è naturalmente la scrittura strumentale; sul piano vocale, le due componenti rimangono invece distinte, con lo scopo di caratterizzare diversamente la vocalità rituale del monaco, e quella più slanciata e lirica della coppia femminile. Il risultato complessivo è di indubbio fascino, tra il visionario e il meditativo, con momenti di grande magia teatrale (i corpi fluttuanti nel vuoto, la pioggia di aghi di pino…) e un’integrazione cangiante (ora illustrativa, ora contrappuntistica) tra componenti sonoro-musicali e scenico-visive. Il pubblico che gremiva lo Schiller Theater ha lungamento applaudito alla fine gli interpreti (le voci soliste di Barbara Hannigan, Charlotte Hellekant, Frode Olsen e Kai-Uwe Fahnert, il Vocalconsort Berlin, la Staatskapelle Berlin diretta da David Robert Coleman, i danzatori di Sasha Waltz & Guests).

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