Widmann e la consacrazione della casa sull’Elba 

La ECM pubblica l’oratorio di Jörg Widmann composto per l’inaugurazione dell’Elbphilharmonie ad Amburgo nel gennaio del 2017 

Jörg Widmann ECM
Disco
classica
Jörg Widmann
ARCHE. Oratorio per soli, cori, organo e orchestra 
ECM
2018

L’inaugurazione di una casa per la musica è sempre un’occasione speciale. Se poi si tratta di una casa diventata rapidamente una delle icone architettoniche della città che l’ha fortissimamente voluta nonostante le enormi difficoltà di realizzazione, allora occorre davvero pensare in grande. Se a Vienna per la sala solo rimessa a nuovo nella Josephstadt bastò un riciclo beethoveniano di una decina di anni prima, per una circostanza analoga a Pest che di solenne aveva il titolo di Consacrazione della casa, per la consacrazione dell’Elbphilharmonie ad Amburgo si è scelto un genere solenne come quello dell’oratorio e un giovane compositore come Jörg Widmann esperto di grandi organici per esaltare l’acustica della nuova sala curata dall’esperto Yasuhisa Toyota impiegando le tecnologie più avanzate. 

Ricorda il musicologo Dieter Rexroth nel testo del booklet nel doppio CD appena pubblicato dalla ECM, che riproduce la registrazione live della prima assoluta del sontuoso lavoro di Widmann ad Amburgo nel gennaio del 2017: «un’intenzione deliberata del nuovo lavoro era rappresentare e indicare una professione di fede nel futuro, nelle novità e in un nuovo modo di guardare al passato per offrire una prospettiva al mondo di domani, un mondo di speranza». Nonostante la lunga incertezza che ha accompagnato il completamento del colossale progetto architettonico e quindi il destino della commissione a Widmann voluta da Kent Nagano, anche sul podio dell’Elbphilhamonie, quell’ottimismo di fondo non si è mai incrinato. Già il polisemico titolo ARCHE, in greco esprime l’idea di “origine” o “inizio” associato all’occasione, e in latino “scrigno” (di oggetti di valore) o “cassa” (come di uno strumento), non può non richiamare l’immagine biblica dell’imbarcazione di Noè destinata a assicurare un futuro al nostro pianeta. E del resto l’Elbphilhamonie è spesso descritta come la prua di una nave che solca le acque dell’Elba. 

«Quando ho visto la sala per la prima volta, sapevo come sarebbe stato il mio pezzo e come si sarebbe chiamato: ARCHE. Ero sconvolto nel senso più positivo da questo spazio», ricordava Widmann sul suo primo contatto con uno spazio allora ancora lontano dall’idea di compiutezza. Da lì nacque l’idea di una grande composizione dedicata alla creazione nella forma classica dell’oratorio, organizzato in cinque vaste sezioni – Fiat Lux, Il diluvio universale, L’amore, Dies irae, Dona nobis pacem – per 80 minuti di musica composti per un organico orchestrale più vasto, se possibile, di quelli ipertrofici straussiani (solo per i fiati sono prescritti anche oboe d’amore e heckelfono, tutta la gamma dei flauti e dei clarinetti e corni naturali in aggiunta), oltre a due pianoforti e celesta, glassarmonica, fisarmonica e organo, che a Amburgo era quello nuovissimo a 4765 canne a vista che decora la sala.

All’organico strumentale della Philharmonisches Staatstorchester di Amburgo, si aggiungono poi i due fondamentali cori dell’Opera di Stato di Amburgo e l’Audi Audi Jugendchorakademie e il coro di voci bianche degli Hamburger Alsterspatzen, la soprano Marlis Petersen, il baritono Thomas E. Bauer. Ma ciò che conferisce un tocco di originalità è soprattutto la presenza di due bimbi come voci narranti, Jonna Plathe e Baris Özden, che danno a questo imponente e solenne affresco uno sguardo di innocente freschezza. C’è l’eterna lotta fra il bene e il male come deve, ma c’è anche il passaggio dal silenzio assoluto prima del mondo del Fiat Lux all’inatteso e giocoso lessico schematico e acronimico della “generation what” nel Dona nobis pacem, che infonde infantile vitalità a parole che, di norma, accompagnano il sonno dei morti perché quel solenne invocazione a Dio “concedi a noi la pace” secondo i modi contrappuntistici antichi è una preghiera per i vivi (così come vuole essere consolatorio il Deutsches Requiem dell’amburghese Brahms). È la conclusione di un discorso musicale capace di dispiegare una gamma impressionante di modi e stili musicali che, cosmogonia biblica a parte, rende questo pezzo un affascinante viaggio nella storia della nostra civiltà musicale e un omaggio alla sua forza salvifica. 

La registrazione della ECM ha molti pregi. Due fra tutti: documentare un passaggio significativo importante nel percorso artistico di Jörg Widmann e consegnare alla memoria collettiva un evento culturalmente marcante come l’apertura di un importante spazio per la musica. Unica nota negativa: il booklet non riproduce il testo dell’oratorio, un complesso mosaico di fonti molto diverse (Claudius, Klabund, Heine, Sloterdijk, Andersen, Brentano, Schiller, Francesco d’Assisi, Nietzsche, Schimmelpfenning, Tommaso da Celano, Michelangelo più estratti da testi sacri e da Das Knaben Wunderhorn), fondamentale per apprezzare pienamente la dimensione intimamente teatrale del lavoro. 

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