Neil Young, il disco perduto

Esce infine Homegrown, il disco mancato di Neil Young che raccoglie materiali incisi tra il 1974 e il 1975; ed è bellissimo

Neil Young Homegrown
Disco
pop
Neil Young
Homegrown
Reprise Records
2020

E meno male che erano gli anni bui, gli anni del blues avvinghiato alle caviglie, degli aghi nelle vene e alla constatazione del “damage done”, dei danni progressivi. La generazione di quelli come Neil Young o s’è diradata fin a sparire nel nulla, o oggi sembra formata da una pattuglia di highlander inscalfibili.

Gli anni bui di Neil Young furono  attorno alla prima metà degli anni Settanta, quelli che fecero seguito al leggendario Harvest, pur ritenuto un capolavoro di quiete e saggezza rilassata. Arrivarono dischi cupi e magnifici come Tonight’s The Night, Time Fades Away, il superbo e bistrattato On The Beach, un tuffo nell’Oceano con i diavoli blu. Eppure, esattamente come Bob Dylan, il canadese trapiantato in California anche nei periodi più ruvidi e scostanti continuava a scrivere brani memorabili. E a inciderli appena poteva. Una bulimia produttiva che ci racconta di uno stato di grazia nonostante tutto, come spesso succede a chi è pieno di vita e fa di tutto per rintuzzarla. Così Neil Young mise assieme un archivio che, oggi, può contendere il primato per vastità alle miniere fonografiche di Bob Dylan. 

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Homegrown, raccolta di brani di fine ’74 e inizio ’75, ora che infine esce sul mercato viene annotato come “il” disco mancato di Neil Young. Meglio sarebbe dire “uno” dei dischi perduti: qualcosa è riaffiorato altrove, qualcosa era solo il sogno privato dei collezionisti. Eccolo qua, con tanto di copertina quietamente country: un ragazzino che potrebbe essere Huckleberry Finn di Mark Twain che addenta una pannocchia, un cagnolino interessato, bisonti e fogliame color pastello.

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Qualcosa – si diceva – era già spuntato fuori, negli anni, qualcosa è davvero una “antica novità”.  Non fa testo la voce meravigliosa del nostro, perché è rimasta intatta fino ad oggi, a differenza di quella di Dylan, e dunque e tale e quale come ve l’aspettate, e non fa testo il suono: meravigliosamente dolce e tintinnante quando tocca pennate gentili sull’acustica o libera vaporosi sbuffi di armonica, fiero, impreciso e gonfio quando è elettrico. 

Compaiono gli amici di allora, che sono ancora gli amici d’oggi: La fata gentile del country rock Emmylou Harris, a impreziosire "Try" e "Star of Bethlehem", Robbie Robertson, il chitarrista della Band che all’epoca accompagnava Dylan, a duettare con Neil Young in "White Line". C’è il blues sghembo e ad alta concentrazione di Mary Jane di "We Don’t Smoke It" (We don't smoke it no more, ma sembrerebbe il contrario!), le ballate che ti stappano il cuore ("Little Wing"), le cavalcate elettriche “alla Neil  Young”, nel brano che intitola, la curiosa narrazione di "Florida", per voce, corde di pianoforte e bicchieri sfregati. Il grande disco perduto, da collocarsi tra On the Beach e Zuma. Fino alla prossima scoperta. Tant’è che Neil Young ha già annunciato una bella bordata di chicche d’archivio...

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