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Un ricordo di Alvin Lucier a pochi giorni dalla morte

Alvin Lucier
Articolo
classica

Il 1° dicembre ci ha lasciato Alvin Lucier, compositore americano che ha dedicato la sua vita all’esplorazione dei fenomeni acustici che agiscono sulla percezione del suono.

Pioniere dell’ambient music e delle installazioni sonore, a partire dagli anni Sessanta Lucier si impone con la sua opera tra i protagonisti dell’avanguardia musicale del Secondo Novecento. Da tempo affetto da morbo di Parkinson, Lucier è morto all'età di novant’anni a seguito di una caduta a Middletown, nel Connecticut.

Nato in una famiglia di musicisti dilettanti il 14 maggio del 1931 a Nashua, nel New Hampshire, Alvin Lucier si avvicina al pianoforte grazie alla madre. Interessato principalmente al jazz e incoraggiato dai genitori a proseguire lo studio della musica, Lucier accantona il pianoforte per le percussioni, scelta che inciderà non poco sulle sue future sperimentazioni sonore.

Il primo incontro con la musica contemporanea avviene all’ascolto della Serenade op. 24 di Arnold Schönberg: «È stato uno shock! Anche se non capivo il senso, quella musica aveva qualcosa che attirava la mia attenzione. A quel punto capii che mi interessavano le cose impegnative».

Intraprende così gli studi di composizione e teoria musicale alla Yale University sotto la guida di alcuni esponenti del Boston Group, compositori formati sotto l’ala protettrice di Nadia Boulanger che vedevano nel Neoclassicismo di Stravinskij un punto di arrivo. Alla fine degli anni Cinquanta, Lucier frequenta i corsi estivi del Tanglewood Music Festival dove incontra Aaron Copland.

Il punto di svolta arriva nei primi anni Sessanta, con il trasferimento a Roma come borsista Fulbright: «Ero letteralmente esausto dallo stile Neoclassico e avevo un paio di insegnanti che erano in una situazione di stallo. Stavano perdendo il loro entusiasmo mentre io ero proprio nell'età in cui potevo essere pronto per qualcosa di nuovo. Ma non sapevo cosa fare».

Negli anni in cui l’Italia si presentava come uno dei poli musicali più ambiti a livello internazionale, Lucier comincia a maturare un nuovo modo di pensare la musica. Al Teatro La Fenice di Venezia entra per la prima volta in contatto con John Cage, impegnato in un concerto con il fido pianista David Tudor e il coreografo Merce Cunningham, diviene amico di Frederic Rzewski, frequenta i corsi di Boris Porena, discepolo di Goffredo Petrassi, approfondisce l’opera di Gesualdo e Webern: «A Venezia ho conosciuto la musica di Luigi Nono, ma soprattutto ho scoperto John Cage».

Se da un lato rifiuta i processi casuali esplorati dal padre dell’alea, dall’altro Lucier inizia a comprendere il rifiuto di Cage verso forme musicali convenzionali come atto necessario: «Cerco di eliminare tutte gli possibili sviluppi di un pezzo fino a lasciare solo le sue componenti essenziali».

Ritornato in America, Lucier assume l’incarico di direttore della University Chamber Choral. Nel 1965 conosce Edmond Dewan, il fisico che inventò un amplificatore di onde cerebrali. Grazie a quell’apparecchiatura Lucier ha la possibilità di tradurre in musica le onde alfa prodotte dal cervello in performance che hanno fatto la storia.

L’anno successivo Lucier si unisce ai compositori Robert Ashley, David Behrman e Gordon Mumma formando il Sonic Arts Union, esperienza che dura una decina di anni: i componenti del gruppo eseguono la propria musica, talvolta insieme ad artisti visivi. Conosce così Mary Lucier, sua prima moglie.

Con la fine degli anni Sessanta diviene professore alla Wesleyan University dove insegna composizione fino al 2011. Negli anni Settanta collabora con la coreografa Viola Farber, tra i fondatori della compagnia di Merce Cunningham, e a partire dalla metà degli anni Ottanta si dedica sempre più a lavori strumentali e di insieme per rispondere alle numerose richieste di nuovi brani da parte di musicisti: «Non mi piace molto ascoltare la mia musica, ma forse è un bene perché mi obbliga a pensare e mi impedisce di compiacermi».

«Non mi piace molto ascoltare la mia musica, ma forse è un bene perché mi obbliga a pensare e mi impedisce di compiacermi».

Alvin Lucier

1. Music for Solo Performer (1965)

Nel 1965 il fisico Edmond Edwan offre a Lucier la possibilità di sperimentare in ambito musicale una nuova apparecchiatura in grado di amplificare le onde alfa prodotte dal cervello, oscillazioni neurali che si registrano durante lo stato di rilassamento. Così il compositore applica ai suoi lobi occipitali degli elettrodi collegati a un magnetofono e a un altoparlante.

Durante la prima esecuzione al Rose Art Museum della Brandeis University, gli altoparlanti furono posizionati in prossimità dei sedici strumenti a percussione, disseminati nei due piani dell’edificio. Facendo vibrare gli altoparlanti, i segnali delle onde alfa erano così in grado di far suonare gli strumenti. Per l’occasione la regia del suono fu affidata a John Cage che si limitò a gestire dal vivo il volume degli altoparlanti. E fu lo stesso Cage a insistere affinché la performance potesse raggiungere la durata di 40 minuti, contrariamente a quanto immaginato inizialmente da Lucier.

2. I Am Sitting in a Room (1969)

È il brano in assoluto più celebre di Alvin Lucier. Seduto davanti a un microfono all’interno di una stanza, il compositore registra la sua voce mentre recita un testo. La registrazione viene successivamente riprodotta e registrata secondo un processo ripetuto innumerevoli volte. In questo modo le frequenze di risonanza della stanza entrano gradualmente nella registrazione alterandone i parametri. Il testo diviene così sempre più incomprensibile, sostituito da una densa stratificazione sonora.

Sperimentato per la prima volta nel 1969 presso lo studio di musica elettronica della Brandeis University, la prima performance dal vivo ebbe luogo al Guggenheim Museum di New York l’anno successivo. In quel contesto, il lavoro vide la collaborazione della prima moglie che accompagnò la performance con una serie di immagini proiettate, seguendo lo stesso processo al quale la voce veniva sottoposta. Tra le performance più recenti, oltre a quella del 2012 alla Biennale di Venezia, si ricorda quella organizzata in occasione del novantesimo compleanno la cui interpretazione coinvolse 90 artisti.

3. Vespers (1968)

Lucier si interessò anche di ecolocalizzazione. Vespers presenta dei performer bendati e dotati di dispositivi sonori, grazie ai quali potersi muovere all'interno di uno spazio performativo definito. Emettendo impulsi a velocità e intensità diverse, questi dispositivi permettono ai performer di scattare una sorta di "fotografia sonora" dello spazio circostante, ottenuta da innumerevoli scatti individuali.

Vespers è scritto come una partitura in prosa che invita l'interprete a esplorare il mondo oltre i limiti umani: «Immergiti con le balene, vola con alcuni uccelli notturni o pipistrelli, o chiedi l'aiuto di altri esperti nell'arte dell'ecolocalizzazione».

4. Bird and Person Dyning (1975)

Attraverso un microfono biauricolare posizionato alle orecchie, Lucier è stato in grado di far ascoltare al pubblico il verso degli uccelli così come percepito nei condotto uditivi. I cinguettii amplificati evolvono in base ai movimenti del compositore, creando piccoli ritardi temporali e sfasamenti. A volte i microfoni risuonano con gli altoparlanti, generando un effetto Larsen.

Potendo controllare il timbro e il volume con piccoli movimenti della testa, in certe posizioni la combinazione tra il verso degli uccelli e l'effetto Larsen produce cinguettii fantasma che possono essere percepiti in vari punti dello spazio. Bird and Person Dyning non è altro che l’affascinante esplorazione dal vivo di questi fenomeni.

5. Nothing is Real (1990)

Brano curioso, sicuramente tra i più affascinanti e ironici di Lucier. Con Nothing is Real il compositore al pianoforte registra alcuni frammenti della canzone dei Beatles "Strawberry Fields Forever". Successivamente la registrazione viene riprodotta da un piccolo altoparlante nascosto all'interno di una teiera. Il suono subisce così una serie di alterazioni dovute all’apertura del coperchio o allo spostamento della teiera stessa dal pianoforte: la stanza di Lucier si riduce allo spazio della teiera, una sorta di magico Stradivari moderno pronto ad amplificare i suoni registrati.

6. Panorama (1993)

Osservando una fotografia panoramica delle Alpi svizzere e austriache, nella primavera del 1993 Lucier trascrive le catene montuose sullo spartito. Mentre il suono del trombone segue il contorno delle montagne, il pianista punteggia le vette con singoli accordi. Le discrepanze di intonazione tra i due strumenti vengono percepite come dei colpi sonori che aprono a effetti acustici interessanti.

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