oAxAcA vs. Rhabdomantic Orchestra: big band a Jazz Is Dead!

Due collettivi piemontesi a confronto per la nuova edizione di Jazz Is Dead!, a Torino dal 10 al 12 settembre

Jazz Is Dead - oAxAcA - Rhabdomantic Orchestra
oAxAcA
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Ritorna Jazz Is Dead! a Torino (dal 10 al 12 settembre al Bunker, ingresso gratuito): il programma è ricco e come sempre spazia tra suoni molto diversi, dagli eroi del rumore Hiedelem (Attila Csihar e Balazs Pandi) a quelli dell’improvvisazione, come Steve Beresford (per l’occasione insieme a Pierpaolo Martino e Valentina Magaletti).

Tra le proposte più interessanti, sabato 11 settembre, anche due “big band” local ma da tempo attive e affacciate sul mondo: la Rhabdomantic Orchestra del torinese Manuel Volpe, che a Jazz Is Dead! presenterà in anteprima il nuovo progetto Almagre, con la musicista colombiana Maria Mallol Moya; e oAxAcA, band capitanata dal chitarrista cuneese Alberto Boto Dutto (anche con Movie Star Junkies), che nel 2020 ha pubblicato l’album Onde di sabbia, molto apprezzato anche all’estero.

Diversi i mondi di riferimento (più verso la diaspora africana la musica della Rhabdomantic Orchestra, più “No wave” l’approccio di oAxAcA, a voler semplificare troppo), non troppo lontani gli esiti, per una musica energetica che nasce dal collettivo.

L’occasione era ghiotta per un’intervista doppia a Manuel Volpe e Alberto Dutto.

Quali sono i vostri “numi tutelari”, i musicisti che avete in mente come punti cardinali del progetto?

MANUEL VOLPE: «Personalmente non ho riferimenti precisi quando scrivo per Rhabdomantic, è più l'idea di suono d'insieme a guidare quello che facciamo e come lo facciamo. Ci sono però i linguaggi di diversi generi musicali che abbiamo scelto di studiare e sperimentare in accostamento o contrasto fra loro. Ci interessa di più la potenza evocativa di sistema musicale, che il confronto con i suoi “numi tutelari”. Quindi ben venga l'afrobeat, le musiche del mediterraneo orientale, il merengue, il gamelan o il free jazz a patto che non siano esattamente riconducibili alla loro forma più rappresentativa».

Rhabdomantic Orchestra
Rhabdomantic Orchestra: Maria Mallol Moya e Manuel Volpe

ALBERTO DUTTO: «In questi anni abbiamo metabolizzato così tanta musica che è difficile fare dei nomi. Direi che Captain Beefheart e Ornette Coleman rimangono dei fari per noi».

Che significa coordinare un collettivo di musicisti, di questi tempi? Diciamo che il contesto storico non sembra aiutare i gruppi numerosi…

VOLPE: «La Rhabdomantic Orchestra è un collettivo aperto che ha visto passare al suo interno almeno 30 musicisti e musiciste nelle varie occasioni. Le difficoltà organizzative sono infinite e spesso insormontabili. Molti di noi suonano in altre band, lavorano o non vivono in Italia per questo abbiamo bisogno di molta pianificazione a lungo termine e un pizzico di sacrificio individuale. A volte dobbiamo sostituire dei musicisti, altre volte semplicemente siamo costretti a rinunciare al concerto».

DUTTO: «oAxAcA è  una band, ogni cambio di personale corrisponde a un periodo assestamento che richiede tempo per capire la direzione da prendere. Col quintetto attuale – che oltre a me alla chitarra e Mattia Bernardi alla batteria include Carlo Ambrogio alla tromba, Edoardo Turco  al sax tenore e Alberto Danzi  al basso – abbiamo speso l'ultimo anno e mezzo a riarrangiare i brani di Onde di sabbia che avevamo registrato con la vecchia formazione…».

Come lavorate alla musica? Avete parti scritte, improvvisate… Com’è un vostro giorno di prove tipico?

VOLPE: «Generalmente mi occupo io della scrittura dei brani e di tutti gli arrangiamenti, più per necessità che per esigenza. Le strutture sono molto rigide e seguono un filo narrativo stabilito. Ci sono gruppi di strumenti che ripetono brevi cellule ritmiche o melodiche per tutto il brano e altri che alternano momenti di esecuzione a momenti di totale improvvisazione. Inizialmente è tutto molto disciplinato ma basta l'iniziativa di uno a trascinare tutti in derive imprevedibili».

DUTTO: «Fino a tre-quattro anni fa il materiale era quasi esclusivamente improvvisato. L’approccio attuale è la scrittura di veri e propri brani. Io o Mattia [Bernardi] portiamo un riff o un ritmo, e da lì sviluppiamo tutti insieme finché siamo soddisfatti».

Entrambi nella vostra musica vi appoggiate a suoni per così dire “vintage”, dai timbri delle chitarre, del sax, delle tastiere… fino ad esempio a un certo modo di armonizzare i fiati. Da tempo si parla molto di retromania, e molte delle cose più interessanti che si ascoltano di questi tempi (voi compresi) sono proprio riletture di certi sound “storicizzati”… Vi chiederei una riflessione su questo, da musicisti e da ascoltatori.

VOLPE: «Credo che il fascino del vecchio stia nella sua distanza dalla disillusione o delusione del presente. Viviamo in un'epoca che non concede nuovi classici, in cui ogni cosa è un capolavoro, purché duri il tempo di una story. Tornare a un sound “storicizzato” ti solleva da questa competizione e ti concede l'illusione di mettere la tua musica in comunicazione con quella che hai sempre amato e che più di tutte sopravvive al tempo».

«Tornare a un sound “storicizzato” ti solleva da questa competizione e ti concede l'illusione di mettere la tua musica in comunicazione con quella che hai sempre amato e che più di tutte sopravvive al tempo».

«Detto ciò, ogni genere ha un suono codificato e porta con sé tutto un insieme di aspetti storici, tecnologici e sociali. Reinventare ogni volta la ruota spesso ti allontana dal senso stesso della musica. Una 808 è già lì e funziona, così come un Twin Reverb o un Farfisa. La poetica invece no: è quella che ti definisce».

DUTTO: «Ricordo che vent'anni fa ci venne detto dopo un concerto con poco pubblico (una persona presente in sala!) che il futuro era la musica elettronica. Ai tempi eravamo in due e facevamo blues punk, il suono e i riferimenti erano quelli degli anni Sessanta, ampli valvolari e chitarre vintage. Adesso la nostra musica è più commistionata e il discorso di genere è saltato, ma quel sound continua ad essere funzionale e a farci vibrare».

Che cosa dobbiamo aspettarci dal vostro set di Jazz is Dead? Che materiale presenterete?

VOLPE: «Suoneremo in anteprima il nostro nuovo album Almagre che uscirà il prossimo anno e segna l'inizio di un nuovo percorso. L'album è stato scritto insieme alla cantante colombiana Maria Mallol Moya, una musicista straordinaria che ha saputo plasmare ciò che avevamo tra le mani in una forma inaspettata portando tutta la magia della sua cultura nei brani. Non sappiamo nemmeno noi cosa aspettarci, sappiamo che saremo in dieci sul palco e che sarà un piccolo salto nel vuoto, per noi e per il pubblico».

DUTTO: «Suoneremo gran parte di Onde di sabbia e cinque pezzi del disco nuovo che stiamo registrando».

Rhabdomantic Orchestra
Rhabdomantic Orchestra

Ultima domanda “bonus”: che cosa state ascoltando in questi giorni?

VOLPE: «Rosalìa, El mal querer».

DUTTO: «Rob Mazurek Exploding Star Orchestra, Dimensional Stardust, e Protomartyr, Ultimate Success Today».

 

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