Mezzo secolo di Festival delle Nazioni

Intervista ad Aldo Sisillo, direttore artistico del festival di Città di Castello

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Il Festival delle Nazioni di Città di Castello è nato esattamente cinquanta anni fa, quando l'alta valle del Tevere, una zona dell'Umbria incuneata tra Toscana, Romagna e Marche, era piuttosto isolata e appena lambita dal turismo, nonostante i suoi tesori artistici e le bellezze paesaggistiche. Forse proprio per questo venne considerata la sede ideale per un festival di musica da camera, che secondo una certa mentalità si rivolgerebbe ad una ristretta élite di ascoltatori, una setta che non ama la folla e preferisce celebrare i propri riti in forma semisegreta. Oggi naturalmente molte cose sono cambiate, tuttavia il festival ha preservato alcuni dei suoi aspetti originari, che gli danno una sua fisionomia particolare. Da qui inizia il nostro incontro con Aldo Sisillo, che, essendone il direttore artistico da tredici edizioni, ha accompagnato il festival durante un quarto abbondante delle sua esistenza.

"Il festival si è distinto fin dalla prima edizione per la particolarità di essere dedicato ogni anno alla cultura musicale di una nazione. Questo lo caratterizzava in maniera forte, perché non esistevano allora festival monotematici di questo genere. Un'altra caratteristica era essere dedicato alla musica da camera, che in Italia è stata sempre considerata - a torto - una sorella minore rispetto all'opera e alla sinfonica e ha sempre avuto uno spazio un po' marginale. Le dimensioni del festival erano piuttosto ridotte, ma fin dalle prime edizioni il livello degli ospiti è stato altissimo: tanto per darne un'idea, posso ricordare Maurizio Pollini, il Trio di Trieste, il Quartetto Italiano e poi per tanti anni il Quartetto Amadeus, che qui ha tenuto anche quei corsi di perfezionamento che sono un complemento fondamentale del festival. Quindi questo festival ha una tradizione gloriosa. In cinquanta anni la sua impostazione originaria non è sostanzialmente cambiata. Anche io io mi sono subito innamorato di queste caratteristiche del festival, che mi hanno dato la possibilità di curiosare in repertori meno frequentati. Mi ricordo che la prima edizione da me curata era dedicata alla Polonia e questo mi ha dato l'opportunità di programmare varie opere di Szymanowski, che era pressoché sconosciuto allora in Italia".

A cambiare è stato - almeno questa è l'impressione che ho avuta frequentando il festival per vari anni - il rapporto col territorio.

"Il rapporto del festival col territorio è interessante, perché fin dall'inizio si è caratterizzato come un festival diffuso, infatti i concerti si tenevano si tenevano non solo a Città di Castello ma in alcuni dei luoghi più belli dell'alta valle del Tevere, talvolta in frazioni di pochi abitanti come Morra, nell'oratorio affrescato da Luca Signorelli. Il festival è stato uno dei primi ad avere l'idea di abbinare i concerti alla promozione del turismo culturale nel territorio, che adesso tanti cavalcano."

Una location molto particolare dove da qualche anno il festival porta alcuni eventi sono gli ex-essiccatoi del tabacco, che Alberto Burri acquisì per poter esporre le sue opere di grande formato.

"Portiamo negli essiccatoi - che ora sono una delle sedi del Museo Burri - quegli eventi di musica e danza contemporanea che possano entrare in relazione con quegli spazi e con quelle opere: quest'anno si svolgerà lì il concerto del Quartetto Prometeo dedicato a Salvatore Sciarrino in occasione dei suoi settant'anni."

Siamo venuti così a parlare del programma del festival per il 2017: vuole illustrarci le linee principali di quest'edizione?

"Questo è l'ultimo anno di un progetto triennale iniziato nel 2015, per i cento anni dall'entrata in guerra dell'Italia. Le precedenti due edizioni sono state dedicate all'Austria e alla Francia, quest'anno è la volta della Germania, altra protagonista di quei tragici eventi. A prescindere dalla ricorrenza di quel conflitto, dedicare il festival a quegli anni è molto interessante, perché i primi decenni del Novecento sono stati un periodo di crisi e nella musica del tempo si avverte la premonizione del disfacimento che stava per investire quel mondo. Spazieremo anche nel primo dopoguerra, una fase molto particolare della storia e della cultura tedesche, quando la Germania aveva riscoperto il senso della libertà e Berlino era una delle capitali più fervide della cultura europea. Lì nacque l'dea della Zeit Oper, cioè della musica che avesse come argomento le problematiche sociali del tempo: penso a Kurt Weill e Hans Eisler. Getteremo uno sguardo su quella musica col recital dedicato al Kabarett da Ute Lemper, la più grande interprete odierna di quel repertorio. Inoltre rappresenteremo Mahagonny Songspiel di Brecht-Weill, in coproduzione col Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto. In quegli stessi anni altri musicisti continuavano nel solco della grande tradizione, come Richard Strauss, di cui presenteremo le musiche di scena per Il borghese gentiluomo in una riduzione per otto strumenti, eseguita da un gruppo cameristico dei Berliner Philharmoniker, con Peppe Servillo come voce recitante. Non è musica del periodo della guerra ma alla guerra si riferisce in modo diretto War work: 8 songs with film di Michael Nyman, che ha realizzato questo spettacolo con canzoni da lui composte su testi di poeti morti durante la prima guerra mondiale - che saranno eseguite da lui e dalla sua band - e con filmati che mostrano non tanto la guerra quanto le conseguenze collaterali della guerra, i profughi, gli ospedali."

Nel programma figurano anche musiche e autori che esulano dal tema di questa edizione.

"Non abbiamo voluto fare un programma troppo specialistico, quindi abbiamo inserito alcuni concerti di maggior richiamo, con programmi più tradizionali, come quello di Alexander Lonquich interamente dedicato a Schumann e quello di Enrico Bronzi. Un concerto particolare è quello con le canzoni inglesi, scozzesi e irlandesi rielaborate da Beethoven, che non fanno parte della sua produzione maggiore ma meritano comunque di essere conosciute. Ancora Beethoven nel concerto di chiusura, con la Nona Sinfonia diretta da Leonid Grin sul podio dell'Orchestra della Toscana."

Nei primi anni il pubblico del festival era formato soprattutto da cultori della musica da camera che venivano dalle grandi città e anche dall'estero, mentre pochissimi erano i locali. Adesso la situazione è cambiata?

"Quando sono arrivato, ho trovato effettivamente un pubblico di nicchia. Ma sono sempre stato dell'opinione che bisogna aprire a diversi generi musicali, quindi ho allargato il festival alla musica etnica, alla musica pop di qualità e a varie tipologie di musica-spettacolo: in questa chiacchierata non ho potuto elencare tutto il programma di quest'edizione, ma ce ne sono anche quest'anno. In questo modo siamo riusciti ad agganciare un pubblico più ampio, soprattutto locale, e da qualche anno il numero degli spettatori è in costante aumento."

www.festivalnazioni.com

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Articolo in collaborazione con Fondazione Ferruccio Busoni Gustav Mahler