Il CD sta morendo, ed è un problema

Che cosa succederà quando anche il compact disc sarà scomparso dal mercato?

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In una delle sue martellanti pubblicità per convincere gli utenti a passare dalla versione “free” a quella a pagamento, una squillante voce di ragazza dice: «Grazie per aver scelto Spotify, avresti potuto accendere la radio, avresti potuto far girare un vinile, avresti potuto usare uno Stereo8, a sapere cosa fosse…».

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Comunque la si pensi su Spotify o su questa pubblicità, non ho potuto fare a meno di notare una cosa: le alternative ipotizzate sono la “classica” radio, un vinile (si presume per i più hipster) e un’opzione chiaramente paradossale come quella dello Stereo8, un tipo di cassetta che ha avuto un suo “relativo” momento di popolarità nella prima metà degli anni Settanta e che ora ricordano davvero in pochi.

«Grazie per aver scelto Spotify, avresti potuto accendere la radio, avresti potuto far girare un vinile, avresti potuto usare uno Stereo8, a sapere cosa fosse…».

Di quella che fino a pochissimo tempo fa era – ma per moltissimi ancora è – l’alternativa più ovvia, il CD, non si fa menzione, quasi fosse scomparso dalla faccia della Terra.

E, in effetti, a leggere un po’ di notizie e di numeri, il formato non se la passa per niente bene.

Secondo la RIAA (Recording Industry Association of America) i ricavi dalle vendite di vinile hanno superato negli Stati Uniti nel 2020 – anno anomalo, per carità, ma la tendenza è quella – quelli di quelle dei CD, un sorpasso dato più dal crollo di questo che dalla spesso sbandierata e in realtà contenuta crescita del più attempato e trendy fratello maggiore. 

Se vi portate a casa un computer portatile nuovo non c’è più il cassettino per leggere i CD (magari con 30 euro ve ne comprate uno esterno, ma di default non c’è). E più di qualche articolo ha “profetizzato” la morte del formato già dal 2022, complice la notizia della chiusura dello stabilimento di produzione Sony a Terre Haute (Indiana) e la decisione di Best Buy – il Mediaworld a stelle e strisce – di non venderli più. 

vendite dei CD
Fonte: Hi Res Audio

La guerra dei formati è sempre un “grande classico”: da quella tra corrente continua e corrente alternata (eravamo negli ultimi vent’anni del 1800) a quella tra DCC e MiniDisc, passando per quella tra 33 e 45 giri (finita con una salomonica e furba spartizione di segmenti del mercato) e quella epica negli anni Ottanta del Novecento tra VHS e Betamax (con forse il migliore dei formati di videocassetta, il Video2000 della Philips, sacrificato ingiustamente al mercato). Non c’è molto da stupirsi se in un mondo in cui, specialmente per gli utenti più giovani, tutto o quasi accade in ambiente computer o smartphone, di quel dischetto argenteo chiamato Compact Disc e delle macchine per riprodurlo, interessi poco o niente a chi deve produrre per fare profitto.

A chi, come il sottoscritto, è diventato adolescente e poi maggiorenne con capacità di spesa alla fine degli anni Ottanta, la cosa fa una certa impressione. Il CD allora si presentava allora come una vera e propria rivoluzione e ha rappresentato per milioni e milioni di consumatori di musica uno standard che in poco tempo si è dato quasi per scontato.

Radiocorriere TV, 1984.
Radiocorriere TV, 1984

Ricordo ancora di avere comprato il mio primo CD – era More dei Pink Floyd – quando non avevo ancora un lettore su cui farlo suonare, cosa che dipinse negli occhi impietositi dei miei genitori un’espressione silente, ma che inequivocabilmente esprimeva un «abbiamo un figlio deficiente…».

Ricordo ancora di essermi disperato per avere comprato in vinile Everybody Digs Bill Evans in un negozio e di averlo trovato nello stesso giorno in cd allo stesso prezzo in un altro negozio.

Erano anni in cui le riviste specializzate di classica lanciavano come rivoluzionaria novità (dovrei avere ancora da qualche parte il ritaglio) un Fidelio diretto da Furtwangler registrato in mono con il primo atto sul canale destro e il secondo sul canale sinistro: per ascoltarlo si doveva settare lo stereo in modo che le casse stereo riproducessero uno solo dei due canali… pena ascoltare i due atti sovrapposti…

Erano anni in cui le Cassandre di turno prevedevano che i CD durassero solo pochi anni per poi rovinarsi: dalla mia esperienza (e ho, o ho avuto negli anni, assai più di diecimila CD) posso dire che quelli che si sono rovinati si contano sulle dita d'una mano. Il più clamoroso uno Ziggy Stardust di Bowie che ha sviluppato una specie di infiorescenza frattale (bellissima da vedere) sulla superficie registrata, che lo ha reso inascoltabile. Praticamente tutti gli altri, anche quelli comprati negli anni Ottanta e registrati maluccio, si ascoltano ancora senza problemi.

Pubblicità, 1986.

Insomma per chi, come il sottoscritto, ha – per motivi di lavoro certo, ma non solo – pareti e scatole piene di CD, l’idea che questo formato sia in inarrestabile declino è elemento che fa riflettere.
Per molti motivi, non solo affettivi. Proviamo a elencarne qualcuno.

Il CD è un ottimo formato. Questa cosa che il CD a confronto del vinile è una schifezza non regge.

Prima di tutto è un ottimo formato.

Sono affezionato al vinile, ne compro, ne colleziono, ne ascolto, mi piace come rito e come oggetto, come grana sonora e come feticcio, ma questa cosa che il CD a confronto è una schifezza non regge. Né dal punto di vista acustico/tecnico, né da quello sociologico/culturale, perché nei suoi oltre 35 anni di vita il CD ha significato molto, ha permesso ristampe, ha alfabetizzato generazioni, ha provato, nella ristrettezza della dimensione, a immaginare mondi e packaging, ha garantito (a patto di non trattarlo proprio come un grattatoio per il micio di casa) durata e qualità. Una qualità  che resta alla base degli standard audiofili adottati da servizi come Qobuz, Tidal o Amazon HD e a cui molti, specialmente nel mondo del jazz e della classica, sembrano non avere intenzione di rinunciare. 

Magari c’è un po’ di pigrizia mentale (in effetti non è che il formato CD, la sua lunghezza, eccetera debbano essere lo standard), però a me sembra che tante etichette e musicisti continuino a puntare su un formato che, nonostante si venda pochissimo o niente, è quello che consente loro di “esistere”, di “produrre” qualcosa che non siano solo file che si perderanno nell’affollata competizione planetaria dei servizi streaming né vinili che a stamparli bene costano e poi non tutti hanno la barba, i risvoltini e il giradischi…

Cd pubb 1986

Non è certo un mistero: da tempo a una musicista o a un artista poco noti, magari esordienti, che facciano una musica con un pubblico non troppo ampio (jazz, avanguardia, canzone d’autore, folk..) conviene stampare CD, che hanno un costo industriale molto basso e un (quando c’è) ricavo al dettaglio che vale la candela, magari vendendoli ai concerti… ma se scompaiono i CD nell'autoradio e negli stereo?

Che ce ne facciamo poi di tutti i CD che stanno in circolazione? Già oggi comprare un lettore buono per il vostro stereo non costa pochissimo. Mentre un altro oggetto in picchiata come il lettore DVD lo trovate anche a poche decine di euro, non esiste più un CD player di fascia economica. Che si fa? Li gettiamo tutti allegramente nel cassonetto della differenziata che tanto “si trova tutto in streaming” e chi invece ama avere un formato fisico si prende tutto in vinile?

Mi sa che c’è una terra di mezzo che non può essere sottovalutata. E che non è nemmeno così sottile. 

In streaming si trova molto, ma decisamente non tutto.

In streaming (lasciamo da parte per un attimo le questioni “morali” e l’irrispettosità per la dignità economica dei musicisti che le principali piattaforme implicano) si trova molto, ma decisamente non tutto (e non in tutti i generi musicali), lo si trova in modo caotico e decontestualizzato (non è necessario che si ricordi qui quanto più monodimensionale sia una fruizione smaterializzata, senza rito, senza note di copertina, eccetera) e, in ipotesi, per qualche motivo potrebbe essere anche che chi detiene i diritti non li conceda più… con conseguenza sparizione della relativa opera.

Pubblicità, 1986.

Anche in vinile non c’è tutto, non tutto ha senso averlo in vinile (cose registrate in digitale in anni di digitale, ad esempio) e rimane una, pur crescente e piacevolissima, nicchia di ascoltatori, molti dei quali fruiscono anche dei CD.

Che accadrà?

Sarà da chiudersi in casa con viveri per qualche anno e attendere che il CD torni, come accaduto con il vinile, trendy? 

Sperare che qualche produttore non smetta di commercializzare lettori, pena trovarsi con collezioni di dischetti metallici buoni al massimo per togliere il ghiaccio dal parabrezza?

Riunirsi di nascosto come in Fahrenheit 451 e imparare a memoria CD non disponibili in streaming da tramandare alle generazioni future?

Sto esagerando ovviamente. 

Sarà da chiudersi in casa con viveri per qualche anno e attendere che il CD torni, come accaduto con il vinile, trendy? 

Non sono mai stato nostalgico e la storia della musica degli ultimi 100 e più anni è profondamente influenzata dalla storia dei formati, come è normale. 

Non voglio essere nostalgico nemmeno ora, anche perché probabilmente rimarrà comunque una nicchia di fruitori sufficienti a sostenere un piccolo mercato tale da garantire la sopravvivenza (marginale quanto si vuole) del formato.

Ma guardando alla ricchezza della musica disponibile in CD, alla sua affidabilità e qualità, questa cronaca di una morte annunciata mi pare sollevi qualche interrogativo e faccia i conti senza più di qualche oste. 

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