Elisabetta da un altro mondo
Una conversazione con Elisabetta Riva neo-sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna alla sua prima stagione bolognese dopo gli anni trascorsi alla guida del Teatro Coliseo di Buenos Aires
11 novembre 2025 • 8 minuti di lettura
Viene dall’“altro mondo” Elisabetta Riva, approdata alla sovrintendenza del Teatro Comunale di Bologna dopo una lunga esperienza in Argentina, che ha segnato profondamente il suo sguardo sul teatro e sulla cultura. Milanese di nascita, regista e manager culturale, Riva ha trascorso oltre vent’anni a Buenos Aires, dove dal 2015 ha diretto il prestigioso Teatro Coliseo di Buenos Aires, trasformandolo in un laboratorio di sperimentazione e apertura internazionale. Un percorso professionale che ha unito la visione artistica a una solida capacità gestionale e che l’ha portata alla nomina lo scorso aprile a Sovrintendente del Teatro Comunale. Riva arriva a Bologna con un bagaglio cosmopolita e una profonda consapevolezza del ruolo sociale e civile del teatro, inteso come luogo di incontro, partecipazione e rigenerazione collettiva.
A pochi mesi dal suo insediamento, in collaborazione con il direttore artistico Pierangelo Conte ha già firmato la sua prima stagione, che porta l’evocativo titolo di “Verso Itaca”. Il riferimento al viaggio di Ulisse non è casuale: la nuova stagione segna l’ultima tappa del percorso del Comunale verso il ritorno nella sua storica sede di Largo Respighi fissata per il 14 febbraio 2027, dopo diversi anni di attività nella soluzione temporanea del Comunale Nouveau. Elisabetta Riva sarà la timoniera di questa traversata, chiamata a unire visione e concretezza, radici e futuro. Dopo l’esperienza argentina, Bologna rappresenta per lei un nuovo punto d’arrivo o forse, come Itaca per Ulisse, un nuovo punto di partenza.
Di questo, dei suoi primi mesi a Bologna e dei progetti per il futuro abbiamo parlato con lei in questa intervista per i lettori del gdm.
La sua prima stagione come sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna si chiama “Verso Itaca”: c’è qualcosa di autobiografico in questa idea di un “ritorno a casa”?
Caspita, non ci avevo pensato! Lei è uno psicologo o un giornalista? Chissà che il subconscio non mi abbia giocato qualche scherzo … In realtà tutto nasce da un file di lavoro che avevo intitolato “Cantiere Itaca”: era la cartella in cui raccoglievo materiali e appunti sui lavori della sala storica. Ogni tanto do nomi ispiratori anche a documenti o cartelle apparentemente tecniche: è un modo per rendere il lavoro più divertente. Appena entrata in contatto con il Comunale, con chi ci lavora e con il suo pubblico, la prima sensazione che ho provato è stata quella del bisogno e del desiderio di un ritorno a casa: appartenenza, nostalgia, odissea, viaggio e fedeltà. Solo ora che me lo fa notare, mi rendo conto che, nel frattempo, anch’io stavo tornando – in un certo senso – a casa, in Italia.
Cosa porta a Bologna della sua esperienza lunga esperienza a Buenos Aires?
A Bologna porto l’energia argentina: quella capacità di restare in piedi nonostante le crisi, di affrontare tutto con empatia, resilienza e una buona dose di ironia. Porto anche la capacità di convivere con l’imperfezione, quella consapevolezza della vulnerabilità che genera vicinanza, e la visione – la fiducia nei progetti difficili.
E cosa dei suoi 12 anni al Teatro Coliseo come direttrice generale e artistica?
Quando arrivai al Coliseo nel 2012 trovai un teatro in grande difficoltà strutturale e gestionale. Con molto lavoro e dedizione riuscimmo a rilanciarlo, ristrutturarlo e riportarlo al centro della vita culturale di Buenos Aires e della comunità italiana in Argentina. All’inizio non tutti credevano in me, ma i risultati sono arrivati. La chiave è stato il lavoro di squadra. Oggi, quando incontro ostacoli o fatiche in questo nuovo percorso bolognese, penso a quel periodo, alle difficoltà di allora e ai risultati ottenuti: è una grande lezione di fiducia e di perseveranza.
Dal 1971 il Teatro Coliseo ha un forte legame con l’Italia. Lei stessa fra il 2022 e il 2024 ha curato e prodotto Divina Italia, una programmazione di opera, concerti e danza con numerosi spettacoli prodotti da fondazioni liriche italiane. Come appare l’Italia dello spettacolo dal vivo dallo speciale osservatorio argentino?
L’Argentina è un Paese innamorato dell’Italia, e Buenos Aires divora teatro e musica. Lì la memoria degli immigrati italiani è ancora vivissima, e l’Italia è percepita come un modello culturale e affettivo. Fin qui tutto bene: è un tema che attraversa l’identità argentina. Ma poi, quando si programma concretamente, emerge una sfida: l’Italia nel frattempo è cambiata, la produzione culturale si è evoluta, e la nostalgia migratoria ha un po’ edulcorato il ricordo della madre patria. Il pubblico argentino cerca un’Italia che, per molti versi, non esiste più, o che si è trasformata. Chi lavora nella promozione culturale ha anche il compito di mostrare un’Italia nuova, creativa, contemporanea. Ho imparato che serve equilibrio: da un lato mantenere viva la memoria della grande tradizione, dall’altro incuriosire ed educare, mostrando come l’Italia continui a evolvere.
A chi si rivolge principalmente l’offerta del Coliseo in una grande metropoli come Buenos Aires, che ha una sorprendente scena teatrale e culturale in senso più ampio?
Con progetti come Italia XXI e Divina Italia, realizzati in collaborazione con molte istituzioni italiane e argentine, abbiamo cercato proprio questo punto d’incontro: eccellenza, tradizione e innovazione – che poi è la cifra stessa del “made in Italy”. Il risultato è stato un grande successo di pubblico e di critica, e un lavoro sistemico che ha riportato l’Italia al centro della scena culturale argentina.
La programmazione del Teatro Coliseo è molto varia e “orizzontale” cioè tocca diversi generi senza davvero una precisa caratterizzazione di teatro lirico o di prosa. Lei stessa per formazione e percorso professionale ha un profilo molto eterogeneo e non limitato alle arti performative ma anche al cinema. Porterà un po’ di quella “orizzontalità” nel suo Teatro Comunale?
Credo molto nel dialogo tra le discipline, ma si tratta di due teatri diversi. Il Teatro Comunale è una Fondazione lirico-sinfonica, un teatro pubblico con la missione primaria di promuovere la musica lirica e classica. Ma sì, mi piacerebbe arricchire la proposta con contaminazioni provenienti da altri linguaggi e generi: non per sostituire, ma per completare, affiancare, provocare un po’ e aprire nuovi orizzonti e pubblici, con rispetto e attenzione.
La programmazione della nuova stagione abbraccerà anche inedite rassegne e iniziative ramificate in una pluralità di luoghi, che saranno occasione per nuove sfide, visioni e ripensate forme di incontro con il pubblico: ne vuole anticipare qualcuna?
Stiamo lavorando a una rete di iniziative che collegheranno il Teatro Comunale a diversi spazi cittadini, per portare la musica e l’opera fuori dalle mura tradizionali e incontrare nuovi pubblici. Ci saranno concerti in luoghi simbolici come musei e piazze, collaborazioni con istituzioni e festival del territorio, e anche progetti educativi e partecipativi con scuole e quartieri. L’idea è rendere il Comunale una presenza viva e diffusa: non solo un luogo fisico, ma un motore culturale che attraversa la città.
Nonostante il poco tempo che lei e il suo direttore artistico Pierangelo Conte avete avuto per mettere insieme la nuova stagione, siete riusciti a realizzare un lavoro di tutto rispetto. Ci sono dei progetti che avrebbe voluto realizzare ma non è stato possibile per motivi di tempo o per le limitate capacità tecniche del Comunale Nouveau?
Molto, soprattutto le tournée internazionali, che richiedono tempi lunghi di progettazione. Muovere orchestra, coro, tecnici e produzione è complesso, sia per il numero di persone coinvolte che per i costi che comporta. Servono pianificazione e fondi adeguati.
Più in generale cosa manca al Teatro Comunale che sarà necessario costruire nelle prossime stagioni? O cosa vorrebbe riuscire a costruire negli anni del suo mandato in questo teatro?
Anzitutto il ritorno a casa. Voglio occuparmi che sia curato in ogni dettaglio, assicurandomi che tutte le realtà coinvolte possano lavorare in sintonia. Da lì ripartiremo.
Una volta recuperato il centro, mi piacerebbe moltissimo lavorare sull’espansione: creare un grande hub del Teatro Comunale, con laboratori, sale prove per orchestra e coro, e un museo-laboratorio aperto al pubblico, che racconti i mestieri e i segreti del teatro d’opera. Sarebbe un modo per valorizzare chi lavora dietro le quinte e per permettere al pubblico di conoscere il lavoro quotidiano di tante professionalità straordinarie. È un progetto ambizioso, ma ci sono i presupposti: un Comunale per tutti, con un’offerta e spazi diversificati, capaci di accogliere pubblici diversi e curiosità differenti.
“Verso Itaca” allude ovviamente anche all’ultima tappa del viaggio della fondazione lirico-sinfonica felsinea verso il rientro nella storica sede di Largo Respighi – previsto all’inizio del 2027 – dopo i lavori di riqualificazione durati diversi anni. Come si sta preparando concretamente il teatro?
Stiamo lavorando insieme al Comune di Bologna a una grande festa che parta dalla piazza e arrivi fino al palcoscenico. Bologna si merita questa celebrazione, questo ritorno a casa.
“It a cà”, tra l’altro, in dialetto bolognese significa proprio “sei a casa”. Quando il Comunale tornerà nella sua sede, tornerà a pulsare il cuore del Teatro: potremo di nuovo lavorare tutti insieme, fianco a fianco, come una vera comunità artistica. Il teatro vive di prossimità, di contatto umano, di sguardi condivisi — e non vedo l’ora che questo accada.
Dal 2027, chiusa l’esperienza del Comunale Nouveau, tutto tornerà come prima?
Non proprio. La riapertura della sede storica di Largo Respighi la consideriamo come una tappa di un più ampio processo di rilancio e trasformazione dell’Istituzione in senso strutturale, artistico e organizzativo. Oltre alle ingenti risorse pubbliche già mobilitate, il contributo dei privati sarà essenziale per ampliare l’ambito di intervento dei lavori, anche in futuro, per finanziare restauro, manutenzione e ammodernamento del teatro per trasformare il Teatro Comunale in un edificio sempre più funzionale e fruibile per la comunità. Nel concreto, ci stiamo preparando a lanciare il “Cantiere Itaca”, un progetto che integra i lavori di restauro avviati dal Comune di Bologna con interventi curati direttamente dal Teatro Comunale, la riorganizzazione gestionale della Fondazione e un programma di fundraising, iniziativa piuttosto innovativa nel panorama delle Fondazioni lirico-sinfoniche.
Avete degli obiettivi concreti per questo?
Puntiamo a raccogliere due milioni di euro per il restauro edilizio e un milione di euro per il rinnovamento del contenuto artistico e sociale. Cercheremo di realizzare questo obiettivo attraverso una speciale membership dedicata ai privati: “I 72 Nostoi”, un originale modello di mecenatismo aperto ad aziende o a singoli cittadini che svilupperemo dal 2025 al 2028 facendo anche leva sullo strumento dell’Art Bonus, che consente di ricevere un credito d’imposta pari al 65% del valore della donazione in soli tre anni. I fondi che raccoglieremo attraverso questo programma verranno impiegati soprattutto negli spazi destinati al pubblico – i foyer Respighi e Rossini, la Rotonda Gluck, gli ordini di palchi e la volta della Sala Bibiena. Altri fondi verranno destinati a rinnovare anche il “contenuto” oltre al contenitore. La nostra “Itaca” è un teatro ritrovato e rilanciato, in cui rinnovare il senso profondo della nostra identità di promotori della cultura pubblica.