La critica musicale è viva?

Che cosa resta della gloriosa tradizone della critica musicale italiana?

MM

19 novembre 2025 • 3 minuti di lettura

Mario Messinis
Mario Messinis

Negli ultimi quarant’anni la critica musicale è cambiata ancor più della vita musicale di cui è specchio. È passata attraverso alti e bassi, a un certo punto sembrava moribonda e invece ora attraversa un nuovo periodo non diciamo splendido ma florido.

Alcuni anni prima del 1985 alcuni dei principali quotidiani avevano cambiato quasi simultaneamente i loro critici musicali ormai molto anziani, talvolta illustri ma legati a vecchie concezioni sia della musica sia del loro compito di critici. Erano invece ancora sulla breccia, sebbene ancora per poco, due critici di pochi anni più giovani, che rispondevano ai nomi di Massimo Mila e Fedele D’Amico, critici musicali rispettivamente della Stampa di Torino e del settimanale L’Espresso, che erano molto diversi per carattere e formazione, per atteggiamento e stile da quei loro colleghi più anziani. Senza porsi su un piedistallo, furono una guida non soltanto musicale ma anche culturale ed etica per i lettori, anche perché usavano un linguaggio meno paludato.

Il loro modo di intendere la critica - la loro personalità era invece unica e irripetibile - è stato adottato e sviluppato dalla successiva generazione di critici, che andò anche oltre. Il quotidiano La Repubblica, fondato da pochi anni, fu tra i primi a portare aria nuova e il suo critico musicale Michelangelo Zurletti introdusse uno stile diverso, esprimendo le proprie idee in modo reciso e intransigente, evitando però di mettersi su un piano diverso dal comune ascoltatore: sembrava il vicino di poltrona che ti esprime le sue opinioni in modo franco e diretto. Anche altri di quella generazione portarono aria nuova nella critica musicale italiana, ognuno con un proprio stile, come Mario Messinis, Lorenzo Arruga (critici rispettivamente del Gazzettino di Venezia e del Giorno) e Mario Bortolotto, una personalità unica per cultura, acume e scrittura, che non collaborò regolarmente con nessuna testata, com’era nel suo carattere irrequieto e insofferente. Bortolotto ebbe il merito di sdoganare la musica contemporanea, che fino ad allora era stata tenuta in gran dispitto dai critici, con rare eccezioni. In questo - seppure partendo da posizioni ideologiche diverse e perfino opposte a quelle di Bortolotto - giocò un ruolo importante anche la critica politicamente impegnata, il cui rappresentante tipico fu Luigi Pestalozza.

Finora abbiamo parlato di un mondo scomparso. Veniamo all’oggi, senza nominare critici ancora in attività, perché potrebbe essere inopportuno. Il quotidiano più diffuso in Italia, il Corriere della Sera, nella sua edizione nazionale dedica alla critica musicale una mezza colonna in un giorno della settimana prestabilito e solo eccezionalmente pubblica altri articoli in occasioni speciali come l’inaugurazione scaligera del giorno di Sant’Ambrogio. Se si sfogliano gli altri quotidiani, la situazione è simile. Quanto ai settimanali, hanno quasi tutti cancellato la loro rubrica di musica “classica”.

Dunque la critica musicale è morta o agonizzante? No, si è spostata sul web e gode più che mai di ottima salute. I superstiti periodici musicali hanno messo in tutto o in parte la loro attività online e sono stati creati molti siti dedicati alla musica, cosicché ora il lettore interessato può leggere molteplici opinioni critiche su un’opera o un concerto e con pochi clic può anche informarsi facilmente (e gratuitamente) su cosa succede nei teatri e nelle sale da concerto di altre città, di altre nazioni e di altri continenti. Quindi la critica di uno spettacolo non è più monopolio di uno o pochi critici, che scrivevano sull’unico quotidiano o nelle grandi città sui due, tre o quattro quotidiani cittadini. Da parte sua il lettore può intervenire per dire la sua sui social. Ma il mondo della comunicazione sta evolvendo così rapidamente che non è possibile prevedere cosa succederà di qui a qualche anno. Auguriamo lunga vita alla critica!