Un'Aida estetizzante al Teatro Real

La ripresa dell'Aida del 1998 al Teatro Real di Madrid non convince del tutto

Aida, Teatro Real, Madrid
Foto © Javier del Real | Teatro Real
Recensione
classica
Teatro Real, Madrid
Aida
07 Marzo 2018

Tableaux vivants che si susseguono come una sequenza di quadri quasi per tutta durata dell’opera: la capacità e il gusto cromatico di Hugo de Hana nel disegnare immagini sceniche, con i corpi dei figuranti, le proiezioni, gli ologrammi, sono proverbiali ma ciò che resta della regia di questa Aida, andata in scena al Teatro Real di Madrid (una ripresa di un allestimento del ’98), è solo questo, quasi che la conduzione non potesse andare oltre a questa sorta di autocompiacimento dei quadri che riesce a creare.

Non mancano momenti di studiato intimismo, come l’atmosfera crepuscolare del terzo atto, con un sapiente gioco di luci, che fa intravedere la luna tra le piramidi, ma spesso c’è una sovrabbondanza di elementi proiettati, dietro e sul tulle del proscenio – tutto un repertorio di riferimenti turistico/archeologici fatto di sfingi, capitelli, bassorilievi – che distolgono e distraggono l’attenzione verso l’azione drammatica. E la conduzione di quest’ultima si rivela abbastanza convenzionale, a parte le coreografie, sicuramente eccentriche e bizzarre, per cui nel tempio assistiamo alla fasciatura di una mummia e, nella scena del trionfo, a un tenzone di guerrieri con tanto di lance, in cui a tratti si intravedono movenze di capoeira.

Aida - Foto © Javier del Real | Teatro Real
Foto © Javier del Real | Teatro Real

È sicura la conduzione musicale di Nicola Luisotti che, impeccabile, conferisce alla narrazione linearità e pathos drammatico, con un equilibrato dosaggio dei colori colori strumentali, senza quegli eccessi in cui molti direttori indulgono volentieri in un’opera come Aida. Secondo cast dell’allestimento nel quale sicuramente hanno brillato Anna Pirozzi, nel ruolo del titolo, brillante incisiva e delicata, emozionante in “Oh Patria mia”, e la mezzosoprano russa Ekaterina Semenchuck, di ottime qualità vocali; dignitoso il Radamés di Alfred Kim a cui difetta un’adeguata caratterizzazione interpretativa nel colore e nel piglio attorale. Estremamente convincente quindi la prestazione del coro.

 

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