Zavattini reinventato dal "teatro di musica"

Celebrare i 150 anni di un teatro di tradizione con un progetto come "Miracolo a Milano" può apparire azzardato, ma anche temerario. Questo è quanto hanno fatto Daniele Abbado e Giorgio Battistelli, in un progetto articolato in una sorta di viaggio tra teatro Cavallerizza e Valli, tra prosa e teatro musicale. Non mancano – come in ogni vera sperimentazione – tratti problematici, ma nel complesso rimane un progetto denso e veramente contemporaneo.

Recensione
classica
Teatro Municipale Valli Reggio Emilia
Giorgio Battistelli
06 Novembre 2007
Celebrare i 150 anni di un teatro di tradizione con un progetto come "Miracolo a Milano" può apparire azzardato: una nuova opera che non è "opera" in senso stretto, liberamente – molto liberamente – tratta da una collazione di testi da leggere come "Totò il buono" di Zavattini, e di testi da guardare come "Miracolo a Milano" di De Sica. Azzardato, si, ma anche temerario, come chi prova a non ripercorrere traiettorie espressive ormai datate, ma cerca di tradurre in "teatro di musica" un'idea. Questo è quanto hanno fatto Daniele Abbado e Giorgio Battistelli, in un progetto articolato in una sorta di viaggio tra teatro Cavallerizza e Valli, che inizia con una pièce teatrale curata da Abbado che introduce con efficace sintesi drammaturgica lo spettatore nel mondo di Zavattini, per poi arrivare al Valli al seguito di una grottesca marcia (funebre?) scandita dalla banda musicale di Felina. La banda entra in teatro dalla platea e inizia "Miracolo a Milano", dove Battistelli ha ideato una partitura eclettica che vedeva impegnati l'Icarus Ensemble, il coro Claudio Merulo e a tratti la stessa banda. La regia di Abbado ha recuperato l'antica arte della pantomima in uno spazio scarno, astratto, dove è il movimento dei personaggi a tracciare un filo narrativo spezzettato, non lineare. In questo contesto la musica è stata segnata in particolare dai suoni: acqua per lavare i panni e i corpi, masticazioni nella scena della "lotteria del pollo", gestiti dalla spazializzazione di Vidolin. Non mancano – come in ogni vera sperimentazione – tratti problematici, come simbologie ermetiche sul palcoscenico (l'ultima cena), o tratteggi musicali un poco anonimi. Ma nel complesso rimane un progetto denso ed efficacemente contemporaneo. Applausi, con qualche tenue dissenso, alla fine.

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